Senza categoria _ Sentenze

Pubblicato il 01/06/2022

04513/2022REG.PROV.COLL.

06195/2021 REG.RIC.

06196/2021 REG.RIC.

06197/2021 REG.RIC.

06239/2021 REG.RIC.

06989/2021 REG.RIC.

08072/2021 REG.RIC.

08377/2021 REG.RIC.

08527/2021 REG.RIC.

08568/2021 REG.RIC.

08663/2021 REG.RIC.

08738/2021 REG.RIC.

06193/2021 REG.RIC.

06194/2021 REG.RIC.

06198/2021 REG.RIC.

06199/2021 REG.RIC.

06201/2021 REG.RIC.

06235/2021 REG.RIC.

07772/2021 REG.RIC.

08413/2021 REG.RIC.

08850/2021 REG.RIC.

08851/2021 REG.RIC.

08852/2021 REG.RIC.

08853/2021 REG.RIC.

08854/2021 REG.RIC.

09081/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6195 del 2021, proposto dai signori _____, […], rappresentati e difesi dagli avvocati _____, […], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

dei signori _____, […], rappresentati e difesi dall’avvocato _____, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

[omissis]

quanto al ricorso n. 6195 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6650/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6196 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6663/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6197 del 2021:

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 6689/2021, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 6239 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6804/2021 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza), sede di Roma, sez. III, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6989 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 8790/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8072 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 7274/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8377 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 08788/2021del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8527 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6628/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8568 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 06684/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8663 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 8874/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8738 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6686/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6193 del 2021:

per la riforma per la riforma della sentenza n. 6659/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6194 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6684/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6198 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6686/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. III, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6199 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 7275/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6201 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6805/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti.

quanto al ricorso n. 6235 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6700/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 7772 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 06661/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8413 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 08790/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8850 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 06628/2021del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8853 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 08872/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Terza), resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 8854 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 08788/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti, concernente l’istituzione degli elenchi speciali presso gli ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche e i requisiti richiesti per l’iscrizione al registro dei massofisioterapisti;

quanto al ricorso n. 9081 del 2021:

per la riforma della sentenza n. 6700/2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), resa tra le parti;

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e di _____, […],

FATTO

1.Con gli appelli in epigrafe sono state impugnate diverse sentenze – sopra individuate – riconducibili alla medesima questione di diritto con il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -Sez. Terza quater ha respinto i ricorsi proposti dai succitati odierni appellanti per l’annullamento del D.M. del Ministero della Salute del 9 agosto 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 212 del 10 settembre 2019 e relativo alla “istituzione degli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” nella parte in cui prevede l’istituzione dell’elenco speciale dei massofisioterapisti (art. 5) nonché ogni altro atto connesso, consequenziale e propedeutico.

1.1. Il giudice di prime cure ha, pur con diversi accenti, ricostruito in modo omogeneo il quadro normativo ritenendo che, con l’art. 1 della legge n.43/2006 (quarta riforma sanitaria), il legislatore avesse già da tempo tracciato il perimetro esclusivo delle professioni sanitarie, definito nell’elencazione contenuta nel D.M. 29 marzo 2001 (di attuazione della legge 251/2000) e che tutte le altre professioni non incluse in questo elenco dovessero essere sussunte nella categoria residuale di “operatori di interesse sanitario”, di cui al secondo comma dell’art. 1 della legge citata. Muovendo da siffatta premessa il TAR ha, dunque, tratto i seguenti corollari: ” a) il massofisioterapista non è più professione sanitaria almeno del 2006; b) la sua figura non è stata tuttavia riordinata né soppressa: dunque le scuole hanno continuato legittimamente ad operare in questo lasso di tempo; c) per residualità il massofisioterapista è comunque da considerare alla stregua di “ operatore di interesse sanitario” d) la disciplina di tale figura è rimessa alle regioni che tuttavia non vi hanno mai provveduto”.

1.2. Con le medesime pronunce il TAR ha, altresì, respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale della disciplina normativa sopra richiamata (id est legge 145 del 2018).

1.3 Gli appellanti, contrastando la correttezza delle argomentazioni poste dal TAR a fondamento delle decisioni avversate, hanno riproposto le censure e i motivi di ricorso avanzati in primo grado, insistendo nelle eccezioni illegittimità costituzionale.

2.Resiste in giudizio il Ministero della Salute, che ha concluso per il rigetto dell’appello siccome irricevibile e infondato.

2.1 Sono altresì intervenuti soggetti privati adducendo motivazioni a sostegno delle parti.

3.Analoghe conclusioni sono state rassegnate dai controinteressati.

4.All’udienza del 17 marzo 2022 le cause sono state tutte trattenute in decisione.

DIRITTO

5.Preliminarmente, in punto di diritto, il Collegio dispone la riunione degli appelli in epigrafe per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva.

Gli appelli sono infondati e, pertanto, vanno respinti. Ciò esime il Collegio dalla valutazione delle eccezioni in rito sollevate da parte resistente e da soggetti controinteressati.

6.Venendo al merito della res controversa, occorre, in apice, affrontare il controverso tema dello statuto giuridico del massofisioterapista quale evincibile dall’ordinamento di settore onde stimare l’incidenza conformativa e le ricadute che su di esso hanno ingenerato il D.M. 9 agosto 2019 e la legge n. 145 del 2018.

Nella prospettazione degli appellanti la figura del massofisioterapista avrebbe, infatti, mantenuto una dignità giuridica speciale siccome declinata sul piano della disciplina normativa in autonomia rispetto al processo di riforma che ha, invece, interessato l’ordinamento delle professioni sanitarie, dal quale pertanto andrebbe mantenuta distinta.

Una compiuta disamina di tale pregiudiziale questione impone di ripercorrere la risalente e complessa evoluzione normativa registratasi in subiecta materia onde ritagliare le coordinate giuridiche di riferimento alla stregua delle quali sciogliere la riserva.

A tali fini, giova subito anticipare che tale compito è agevolato dallo sforzo esegetico e ricostruttivo ancora di recente operato da questa Sezione (Cons. St., III, n. 8036/2021; sez. III n. 7618/2021 ma sul punto vedi anche Cons. St., I, parere n. 1202/2021) dai cui approdi non vi è ragione di discostarsi.

6.1 La figura del massofisioterapista ha fatto la sua prima comparsa nell’ordinamento con la legge n. 570 del 1961, istitutiva della Scuola Nazionale professionale per massofisioterapisti ciechi di Firenze.

6.2. Con l’art.1, comma 1, della legge n. 403 del 1971 (recante “Nuove norme sulla professione e sul collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi”), l’attività in parola è stata inquadrata tra le “professioni sanitarie ausiliare” (denominazione successivamente sostituita ai sensi dell’art. 1 della legge n. 42 del 26.2.1999 con quella di “professione sanitaria”): l’art. 1 (oggi abrogato) prevedeva, infatti, che “La professione sanitaria di massaggiatore e massofisioterapista è esercitabile soltanto dai massaggiatori e massofisioterapisti diplomati da una scuola di massaggio e massofisioterapia statale o autorizzata con decreto del Ministro per la sanità [successivamente sostituita dall’autorizzazione regionale – n.d.r.], sia che lavorino alle dipendenze di enti ospedalieri e di istituti privati, sia che esercitino la professione autonomamente”.

6.3. Con l’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 (c.d. seconda riforma sanitaria, poi modificato nel 1993) furono introdotte disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie optando, in luogo di corsi regionali, per una formazione uniforme di livello universitario e, al contempo, demandando al Ministro della Sanità l’individuazione delle figure professionali da formare e i relativi profili. L’art. 6, comma 3, inoltre, stabiliva che i corsi di studio relativi alle figure professionali ivi individuate e previsti dal precedente ordinamento, ove non riordinati, dovessero essere soppressi entro due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994, garantendo, comunque, il completamento degli studi agli studenti che si fossero iscritti entro il predetto termine al primo anno di corso. In attuazione di tale previsione, e per quanto qui di più diretto interesse, il Ministro della Sanità, con D.M. del 14 settembre 1994 n. 741, individuava il profilo professionale e il percorso formativo del fisioterapista.

6.4. Con l’art. 4 della legge n. 42 del 1999 (c.d. terza riforma sanitaria) è stata poi disciplinata la fase transitoria del passaggio al nuovo ordito regolatorio, all’uopo prevedendo, ope legis, l’equipollenza, per l’esercizio professionale, ai nuovi diplomi universitari dei diplomi e degli attestati conseguiti in base alla normativa precedente che avessero permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali, l’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo o che fossero previsti dalla normativa concorsuale per l’accesso al S.S.N. o ad altri comparti del settore pubblico. Ad apposito decreto del Ministro della Sanità veniva, al contempo, demandata la definizione dei criteri per l’equivalenza degli ulteriori titoli conseguiti conformemente all’ordinamento in vigore anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali.

In attuazione di tale previsione, è poi stato emanato il D.M. 27 luglio 2000 il quale – sulla base dell’esigenza di individuare i titoli equipollenti ai diplomi universitari a norma del citato art. 4, comma 1, per dare certezza alle situazioni ed uniformità di comportamento – ha stabilito, all’art. 1, che i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992 (indicati nella Sezione B della riportata tabella) sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della l. n. 42 del 1999, al diploma universitario di fisioterapista di cui al decreto 14 settembre 1994 n. 741 del Ministro della Sanità, indicato nella Sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base; nella relativa elencazione risulta incluso il diploma di massofisioterapista – Corso triennale di formazione specifica (legge 19 maggio 1971, n. 403).

Tuttavia, non essendo intervenuto alcun atto di individuazione della figura del massofisioterapista come una di quelle da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordinamento del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione dello stesso, quella professione e la relativa abilitazione sono in sostanza rimaste configurate nei termini previsti dal vecchio ordinamento, con conseguente conservazione dei corsi di formazione regionale di durata biennale o triennale.

Ciò nondimeno, resta fermo, rispetto al giudizio di equipollenza, il principio affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 9 settembre 2018, n. 16) secondo cui appare invece necessario dare continuità all’opposto orientamento (espresso in precedenza da Cons. Stato, VI, 30 maggio 2011, n. 3218), evidenziando come, nei casi di diploma, o attestato, conseguito in data successiva al 1999 (epoca finale, quest’ultima, ai fini della dichiarazione di equipollenza, ai sensi del testo dell’art. 4, comma 1, l. n. 42 del 1999, dove si richiama il l’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992 come modificato dall’art. 7 d.lgs. n. 517 del 1993), l’equipollenza non possa valere, in quanto “il richiamato articolo 4 l. n. 42 del 1999 non va considerato come norma ‘a regime’, applicabile estensivamente anche ai titoli conseguiti successivamente (sulla scorta della precedente normativa: l. 10 maggio 1971, n. 403, in relazione al diploma di massofioterapista). La norma ha invece finalità transitoria, essendo finalizzata a consentire che i (soli) titoli rilasciati dalle scuole regionali nel previgente sistema potessero essere equipararti a quelli di nuova istituzione (qualificati da un diverso e più impegnativo iter di conseguimento).

6.5. Il mantenimento dei corsi regionali per la formazione dei massofisioterapisti è, dunque, collocato, già in questa fase, in un quadro normativo che in generale prevedeva ormai, anche per l’esercizio delle professioni sanitarie non mediche, il conseguimento di un diploma universitario a livello statale.

6.6. La legge n. 43 del 2006 ha, poi, operato una chiara e definitiva perimetrazione delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione individuandole, all’interno di un sistema a numero chiuso, in quelle “previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del D.M. 29 marzo 2001 del Ministro della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione” (cfr. art. 1 comma 1).

Le singole figure professionali di cui all’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sono state, dunque, compiutamente definite ai sensi del mentovato D.M. del 29.3.2001 come professioni sanitarie tipizzate e preposte alle attività di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione in forza di titolo abilitativo rilasciato dallo Stato; tra esse, non è ricompresa la figura professionale del massiofisioterapista.

Il successivo art. 2 della legge suddetta prevede che l’esercizio delle professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, è subordinato al conseguimento del titolo universitario rilasciato a seguito di esame finale con valore abilitante all’esercizio della professione e valido sull’intero territorio nazionale nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni.

Al Governo veniva, infine, delegata la disciplina necessaria per istituire, per le professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, i relativi ordini professionali, mentre l’articolo 5 tracciava il percorso e i presupposti per l’individuazione e l’istituzione di nuove professioni sanitarie.

All’interno di tale conchiuso sistema la medesima legge in commento, n. 43 del 2006, forniva risposta anche al quesito complementare riferito alla sorte delle attività non riconducibili alle professioni sanitarie come sopra individuate prevedendo, al comma 2 dell’art. 1, in via residuale, il distinto profilo di “operatori di interesse sanitario”, e mantenendo ferma a tal riguardo “la competenza delle regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie come definite dal comma 1”.

E’ pur vero che nelle disposizioni finali contenute all’art. 7 comma 1 del testo normativo in esame il legislatore ha stabilito che “Alle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione già riconosciute alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nelle rispettive fonti di riconoscimento, salvo quanto previsto dalla presente legge”, ciò nondimeno è evidente che tale clausola di salvezza involge, anzitutto, il sistema delle professioni sanitarie “riconosciute”, nel senso di riordinate e mantenute operative all’interno del nuovo contesto ordinamentale. La disposizione sopra richiamata esaurisce, dunque, i suoi effetti nel mantenere ferma la valenza integrativa e complementare delle altre concorrenti fonti normative che, sul piano della disciplina di dettaglio, regolano le singole professioni “già riconosciute” e sempreché compatibili con la legge n. 43 del 2006.

6.7. Orbene, è proprio nell’ambito di tale distinta categoria giuridica di “operatore di interesse sanitario”, riferita in via residuale alle figure sanitarie di formazione regionali “atipiche”, che trova collocazione l’attività del massofisioterapista, contraddistinta rispetto alle professioni sanitarie in senso proprio dalla mancanza di autonomia professionale e per una formazione di livello inferiore.

In questo senso si è oramai espressa, da tempo, la giurisprudenza di questa Sezione secondo cui il masso-fisioterapista, all’esito del conseguimento di un titolo di formazione regionale, ben può rientrare nel novero degli operatori di interesse sanitario, con funzioni prettamente ausiliarie, mentre non può in alcun modo essere ricompreso nell’ambito delle professioni sanitarie, essendo ad esso riservate attività pur sempre caratterizzate dallo svolgimento di funzioni ” accessorie e strumentali” rispetto alle professioni sanitarie (cfr. Cons. St., sez. III, 17 giugno 2013, n. 3325, poi ripresa anche nelle successive pronunce sez. III, 30 settembre 2015 n. 4572, sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4788; sez. III, 16 gennaio 2018 n. 219; sez. III, 9 marzo 2018, n. 1520). E il diverso regime giuridico della categoria degli operatori di interesse sanitario è stato nei termini suesposti recepito anche dalla Corte Costituzionale secondo cui tali “(..) profili vanno riferiti esclusivamente ad attività aventi carattere “servente” ed “ausiliario” rispetto a quelle pertinenti alle professioni sanitarie” (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 300/2007).

A queste indicazioni si è nel tempo uniformato il Ministero della Salute, qualificando il massofisioterapista dapprima come “professione sanitaria non riordinata” e poi, dal 2013 ad oggi, come “operatore di interesse sanitario” (cfr. in tal senso Cons. St., sez. III, 7618/2021).

Coglie, dunque, nel segno l’approdo decisorio di prime cure nella parte in cui evidenzia come i massofisioterapisti non possono invocare il diritto a conservare la propria qualificazione di “professioni sanitarie”, atteso che una tale qualificazione era stata loro preclusa già a partire dal 2006.

6.8. La legge n. 3 del 2018 è poi nuovamente intervenuta sul regime delle professioni sanitarie, prevedendo la condizione di obbligatoria iscrizione al rispettivo albo per l’esercizio di ciascuna professione sanitaria, in qualunque forma giuridica svolta. L’articolo 4, comma 9, della legge n. 3/2018 ha, altresì, previsto la trasformazione dei preesistenti collegi professionali in Ordini. Per quanto qui di più diretto interesse, i preesistenti collegi professionali dei tecnici sanitari di radiologia medica hanno assunto la denominazione di ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Il successivo comma 13 ha, inoltre, prescritto che “Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della salute, oltre all’albo dei tecnici sanitari di radiologia medica e all’albo degli assistenti sanitari sono istituiti, presso gli Ordini di cui al comma 9, lettera c), gli albi delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, ai quali possono iscriversi i laureati abilitati all’esercizio di tali professioni, nonché i possessori di titoli equipollenti o equivalenti alla laurea abilitante, ai sensi dell’articolo 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42”. In attuazione di tale previsione è stato emanato il D.M. 13 marzo 2018, il quale ha disposto l’istituzione degli albi suindicati, ribadendo che per “l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie in qualunque forma giuridica svolto, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo professionale. L’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (art. 1 comma 4)

Il decreto ha, inoltre, disciplinato i requisiti per l’iscrizione al rispettivo albo, tra cui, a mente dell’art. 2, comma 1, lettera d), è compreso il possesso di “laurea abilitante all’esercizio della professione sanitaria, ovvero titolo equipollente o equivalente alla laurea abilitante, ai sensi dell’art. 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42” (art. 2 comma 1).

Il successivo comma 2 ha ulteriormente precisato che “I possessori di titoli conseguiti in Paesi dell’Unione europea, possono iscriversi all’albo professionale se in possesso, oltre che dei requisiti di cui al comma 1, del riconoscimento del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione sanitaria effettuato dal Ministero della salute, ai sensi del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 e s.m., recante norme di attuazione della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”.

6.9. Orbene, in questo quadro regolatorio, già ampiamente tracciato nei suoi contenuti prescrittivi dai precedenti arresti normativi sopra passati in rassegna, si colloca l’articolo 1, comma 537, della legge n. 145 del 2018, che ha previsto l’istituzione di elenchi speciali ad esaurimento per coloro che svolgano o abbiano svolto un’attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo, per un periodo minimo di 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 10 anni. Costoro sono autorizzati dal legislatore a continuare a svolgere le attività professionali previste dal profilo della professione sanitaria di riferimento, purché si iscrivano, entro il 31 dicembre 2019 (poi prorogato al 30 giugno 2020), negli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione. Il comma 538 rimette poi a un decreto del Ministro della Salute l’istituzione degli elenchi speciali. Gli effetti dell’iscrizione negli elenchi speciali sono puntualizzati dal comma 540, a mente del quale l’iscrizione negli elenchi speciali non produce, per il possessore del titolo, alcun effetto sulla posizione funzionale rivestita e sulle mansioni esercitate, in ragione del titolo, nei rapporti di lavoro dipendente già instaurati. Il comma 541 esplicita il divieto di attivazione di corsi di formazione regionali per il rilascio di titoli ai fini dell’esercizio delle professioni sanitarie di cui alla legge n. 43/2006 (professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione).

È infine abrogato (comma 542) l’articolo 1 della legge n. 403 del 1971, concernente, come si è visto, la professione sanitaria di massofisioterapista.

Con specifico riferimento alla portata dei suddetti effetti abrogativi, sia consentito rinviare, anche ai sensi di quanto previsto dall’articolo 88 comma 2 lettera d) del d. lgs. 104/2010, alla recente pronuncia di questa Sezione, n. 7618/2021, successivamente confermata con sentenza 8036 del 2021, secondo cui tale abrogazione ha inciso esclusivamente sulla qualificazione normativa del massofisioterapista, dequotandola da “professionista sanitario” a “operatore di interesse sanitario”, mentre non ne ha soppresso l’ identità giuridica, nel senso che l’abolizione involge non già il profilo professionale tout court, ma sola la sua qualificazione come “professione sanitaria”; in secondo luogo, la Sezione ha precisato che l’operato intervento normativo non incide sull’attivazione dei corsi di formazione regionali, così come sino ad oggi avvenuta.

Nei termini suesposti, la disposizione normativa in argomento rifletterebbe, petanto, per quanto qui di più diretto interesse, una valenza solo formale se non meramente ricognitiva di effetti giuridici già da tempo verificatisi a seguito del processo di stratificazione normativa come sopra ricostruito, in quanto, attraverso l’esplicita abrogazione di una fonte normativa oramai ampiamente superata nella sua reale attitudine prescrittiva, si limiterebbe ad allineare agli arresti regolatori già da tempo maturati nell’ordinamento settoriale delle professioni sanitarie i contenuti formali della legge 403/1971, recuperando così piena coerenza anche sul piano formale alla disciplina di riferimento.

7.In definitiva, e per tutte le ragioni fin qui esposte, va confermata l’opzione esegetica privilegiata dal giudice di prime nella parte in cui evidenzia che la qualificazione della figura del massofisioterapista nei termini di “professione sanitaria” era ormai venuta meno già a partire dal 2006 a seguito degli effetti rinvenienti dalla legge di riforma n. 43/2006, progressivamente consolidandosi la relativa consapevolezza a seguito della stabilizzazione degli orientamenti giurisprudenziali maturati in subiecta materia quantomeno a partire dal 2013, di guisa che meritano piena condivisione i corollari che il giudice di prime cure ha tratto da tale assunto, così sintetizzati:

a) il massofisioterapista non è più “professione sanitaria” almeno dal 2006;

b) la sua figura non è stata tuttavia mai riordinata né soppressa, per cui in questo lasso di tempo le scuole hanno continuato legittimamente a operare;

c) per residualità, il massofisioterapista è comunque da considerare alla stregua di “operatore di interesse sanitario”;

d) la disciplina di tale figura è rimessa alle Regioni, che tuttavia non vi hanno mai provveduto.

8.È all’interno di tale contesto regolatorio che si innesta la previsione della già citata legge di bilancio 2019 (id est L. 145/2018) nella parte in cui ha previsto l’istituzione di elenchi speciali ad esaurimento per coloro che svolgano o abbiano svolto un’attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo, per un periodo minimo di 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 10 anni.

8.1. E nel solco di tale obiettivo di regolarizzazione si colloca, altresì, il D.M. del 9 agosto 2019 che, oltre a istituire 17 elenchi speciali ad esaurimento per lo svolgimento delle attività professionali previste dal profilo di specifiche e ben individuate professioni sanitarie, ha al contempo disposto, con una disposizione autonoma contenuta nell’art. 5, l’istituzione presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione anche dell’elenco speciale ad esaurimento dei massofisioterapisti il cui titolo è stato conseguito ai sensi della legge n. 403 del 1971. Ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale in questione, si applicano le medesime disposizioni previste per gli altri elenchi speciali ad esaurimento, con la precisazione però che l’iscrizione in argomento non comporta di per sé l’equipollenza o l’equivalenza ai titoli necessari per l’esercizio delle professioni di cui all’art. 1, comma 1.

8.2. E’ evidente l’intento, anzitutto, del legislatore di salvaguardare – in uno alle esigenze di continuità e di funzionalità dei servizi sanitari – le aspettative di tutti quegli operatori che, nel travagliato periodo di attuazione e completamento del processo di riforma delle professioni sanitarie, avevano esercitato la propria attività in coerenza con l’abilitazione conseguita nella vigenza della preesistente disciplina acquisendo sul campo l’esperienza necessaria ad assicurare il medesimo standard di conoscenza e di abilità ordinariamente maturato all’esito del percorso di formazione tracciato dal nuovo regime giuridico.

8.3. E la stessa missione assolve l’istituzione per i massofisioterapisti dell’elenco speciale ad esaurimento di cui all’art. 5 vieppiù reso necessario dalla lunga vicenda normativa e interpretativa innanzi riepilogata che, dopo una momentanea collocazione tra le “professioni sanitarie non riordinate”, ha visto il conclusivo approdo del massofisioterapista tra gli “operatori di interesse sanitario”.

Come già affermato da questa Sezione la previsione della legge di bilancio 2019, nell’ammettere l’iscrizione nei predetti elenchi speciali solo a chi abbia esercitato l’attività professionale per almeno trentasei mesi negli ultimi dieci anni, di fatto consente l’iscrizione solo a chi vanti un titolo conseguito non più tardi del 2015, avendo iniziato il corso di formazione triennale non più tardi dell’anno formativo 2012/2013, quando il massofisioterapista era qualificato come “professione sanitaria non riordinata” anche nella classificazione pubblicata dal Ministero della Salute (cfr. Cons. St., sez. III, 16 novembre 2021 n. 7618).

8.4. Non ha, dunque, pregio il costrutto giuridico attoreo nella parte in cui si contesta il presunto disallineamento, in parte qua, del D.M. impugnato in prime cure rispetto alla legge n. 145 del 2018, da cui deriverebbe il contestato vizio di carenza di potere.

Sul punto il Collegio osserva che, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, il D.M. impugnato si dispiega in senso conforme all’art. 1, commi 537 e 538, della legge n. 145 del 2018, oltreché nel solco delle coordinate normative già tracciate dai processi di riforma sopra passati in rassegna.

8.5. Giova qui, infatti, ribadire che l’approdo del lungo e complesso iter di riforma che ha interessato il profilo professionale in argomento, come già sopra anticipato, non ha del tutto eliminato dall’ordinamento la figura del massofisioterapista, avendone unicamente favorito la trasmigrazione dalla categoria giuridica di “professionista sanitario” a quella di “operatore di interesse sanitario”.

Muovendo da siffatta premessa, deve dunque qui precisarsi che gli interventi regolatori da ultimo menzionati involgono esclusivamente l’attitudine del diploma in questione, conseguito ai sensi della legge 19 maggio 1971, n. 403, a reggere, in via eccezionale e ad esaurimento, l’esercizio di attività già ricadenti nel distinto ambito delle professioni sanitarie e che, però, da tempo richiedevano una formazione diversa di livello universitario.

8.6. L’effetto innovativo che si riconnette alle previsioni normative qui in rilievo, e sempreché sussistano le condizioni previste dall’art. 5 del D.M. del 9.8.2019, si risolve, dunque, nell’ampliamento dell’ordinaria attitudine abilitativa del diploma di massofisioterapista siccome implementata, rispetto alle possibilità connesse allo status di operatore di interesse sanitario, nella sua capacità di intercettare ancora, e in via eccezionale, gli sbocchi professionali già garantiti nel previgente ordinamento a tale figura professionale.

8.7. Nella suddetta prospettiva di “sanatoria”, inevitabilmente rivolta al passato, il legislatore ha inteso, dunque, regolarizzare, conciliandola con le esigenze di tutela della salute, la professionalità acquisita sul campo da quei massofisioterapisti che potevano vantare una vasta esperienza lavorativa, conseguente all’esercizio di un’attività professionale svolta in piena autonomia e in un periodo storico che, a cagione delle incertezze indotte dalla sopra ricostruita stratificazione dei processi di riforma, aveva ingenerato legittimi affidamenti sulla ampiezza abilitante del titolo in argomento.

8.8. La correttezza della suddetta opzione esegetica – incline a riconoscere nel D.M. del 9.8.2019 lo sviluppo attuativo della previsione di cui all’articolo 1 comma 537 della legge 145/2018 – trova, peraltro, immediato e diretto riscontro negli stessi lavori preparatori alla legge di bilancio, riportati nei dossiers del Senato del 23 e 27 dicembre 2018 e del 22 gennaio 2019.

Ad esempio, nel dossier del 27.12.2018 la figura dei massofisioterapisti viene espressamente richiamata insieme a quella di altri operatori da regolarizzare in quanto, nonostante un significativo vissuto professionale, impossibilitati ad iscriversi ad uno specifico albo, come viceversa prescritto dalla legge 3/2018; e ciò per diverse ragioni, così esemplificativamente enunciate:

– mancata partecipazione alle procedure indette, a suo tempo, dalle regioni per sancire l’equivalenza ai titoli universitari sulla base dei criteri previsti dall’Accordo Stato-regioni del 10 febbraio 2011;

– aver continuato, in quanto dipendenti del SSR o di strutture private e private accreditate sanitarie e socio-sanitarie, ad esercitare l’attività sanitaria o socio-sanitaria riconducibile all’area delle professioni sanitarie pur senza il riconoscimento dell’equivalenza;

– aver conseguito, in determinate regioni, corsi regionali successivi al 17 marzo 1999 (data di entrata in vigore della sopra richiamata legge n. 42/1999) che hanno autorizzato all’esercizio professionale molti operatori – quali educatori professionali e massofisioterapisti, in particolare in Lombardia e Veneto -, ma che non possono essere riconosciuti equivalenti.

Dal medesimo dossier si ricava, altresì, sempre con specifico riferimento alla figura professionale qui in rilievo, che “…la ratio della disposizione in esame è quella di superare, anche per tali figure, l’indeterminatezza del quadro giuridico, permettendo anche a questi operatori – che possano dimostrare i requisiti sopra esaminati – l’iscrizione agli elenchi speciali da costituire con decreto del Ministero della salute. In ogni caso, proprio per non creare future incertezze nell’applicazione della normativa che si vuole qui riordinare, si prevede la soppressione delle figure dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi, previste ai sensi della richiamata legge n. 403 del 1971”.

Non può, dunque, essere revocato in dubbio come il D.M. del 9.8.2019 tragga il suo diretto fondamento dalle previsioni normative di rango primario compendiate nella legge 145/2018.

8.9. Né a diverse conclusioni può condurre la circostanza, di per se stessa anodina, dell’autonoma collocazione della disposizione sui massiofisioterapisti all’interno di un articolo, l’art. 5 del D.M. 9.8.2019, diverso da quello dedicato alle “altre” professioni sanitarie: tanto deriva dalla circostanza che la figura qui in rilievo non è stata riordinata quale professione sanitaria, trasmigrando, come detto, nel tempo, nella distinta categoria tipologica dell’operatore di interesse sanitario. Allo stesso tempo, non può però negarsi che nell’originario impianto regolatorio tale figura fosse allineata alla categoria tipologia delle professioni sanitarie di guisa che il mantenimento di una disciplina comune nei limiti suindicati, e volta a superare un arco temporale segnato da normative non sempre chiare e intellegibili, ha un fondamento logico e di giustizia sostanziale. Resta, dunque, confermata l’omogeneità degli intendimenti che hanno governato la scelta del legislatore: istituire gli elenchi speciali ad esaurimento delle professioni sanitarie per coloro che non avessero il nuovo titolo abilitante ma una qualificata esperienza maturata in conformità all’originario titolo e garantire continuità operativa anche a quei massofisioterapisti parimenti non più legittimati in base al solo diploma ad esercire un’attività avente in passato la dignità di professione sanitaria ma al contempo qualificati sul campo da una vasta esperienza acquisita in coerenza con le possibilità professionali garantite dal pregresso ordinamento.

10.Per le ragioni finora evidenziate nemmeno può essere revocata in dubbio l’intrinseca coerenza logica della disciplina qui in rilievo nella parte in cui affida il nuovo regime di equivalenza al possesso dei requisiti introdotti dal D.M. per iscriversi all’elenco speciale ad esaurimento.

È, infatti, di tutta evidenza come tale regolarizzazione non potesse che essere volta al passato sanando situazioni di fatto consolidatesi nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento di guisa che il possesso del requisito esperenziale si rivela un aspetto qualificante – e dunque da ritenersi consustanziale – nel progetto normativo.

Il provvedimento ministeriale impugnato, nel recepire i contenuti di una disciplina dalla portata derogatoria ed eccezionale, non poteva che riprodurre i parametri temporali fissati dal legislatore per l’iscrizione negli elenchi speciali ad esaurimento senza apportare ad esse modifiche di rilievo sostanziale ovvero, in assenza di investitura legislativa, introdurre un’ulteriore disciplina di carattere transitorio.

Né, peraltro, può dirsi irragionevole la scelta compiuta, in primis, dal legislatore di fissare in trentasei mesi la soglia di giuridica rilevanza del dato esperenziale: in disparte l’ampia discrezionalità che va sul punto riconosciuta al legislatore, nemmeno può essere sottaciuta la sostanziale coerenza del suddetto dato con il torno di tempo in cui si completa l’ordinario percorso formativo oggi previsto per il conseguimento della laurea in fisioterapia, vale a dire l’ambito professionale più vicino, in passato, a quello dei massofisioterapisti.

11.In mancanza delle speciali condizioni previste dall’articolo 5 del D.M. del 9.8.2019, la cui valenza derogatoria ed eccezionale non è suscettiva di applicazione analogica, si riespande, dunque, la regola generale che vuole i massofisioterapisti abilitati solo come operatori di interesse sanitari nei termini sopra precedentemente esposti, rivelandosi in definitiva incompatibile con tale approdo sia l’opzione esegetica incline a svincolare l’esercizio della “professione sanitaria” di massofisioterapisti dal regime vincolistico previsto per le “altre” professioni sanitarie, e incentrato sulla previsione di percorsi formativi di livello universitario seguiti dall’iscrizione ad un albo, sia quella alternativa incentrata sulla necessità di consentire incondizionatamente a tutti – eventualmente previa concessione di un ulteriore lasso di tempo necessario per la maturazione del requisito esperenziale – l’iscrizione nell’apposito elenco.12. La Sezione ritiene, inoltre, sotto distinto profilo, che nemmeno le eccezioni di incostituzionalità della legge n. 145 del 2018 ovvero di violazione del diritto eurounitario prospettate nel mezzo in epigrafe siano condivisibili.

12.1. Un primo, significativo punto di frizione risiederebbe, secondo gli appellanti, nella violazione del legittimo affidamento fin qui maturato, avendo i massofisioterapisti non abilitati all’iscrizione nell’elenco speciale, comunque, avviato il percorso di studi e conseguito il diploma confidando di poter esercitare la “professione sanitaria” di massofisioterapista alla stregua dell’ordinamento all’epoca vigente, senza cioè i requisiti introdotti, solo da ultimo, dal D.M. del 9.8.2019 e dalla legge 145/2018.

12.2. A tal riguardo, occorre rilevare preliminarmente, e su un piano di carattere generale, che, come correttamente eccepito dalle parti resistenti, la tutela del legittimo affidamento, per come declinata nella giurisprudenza costituzionale ed europea, non esclude la possibilità per uno Stato membro di modificare una legge precedente con effetto immediato e senza prevedere un regime transitorio.

L’affidamento, infatti, nonostante sia stato qualificato dalla Consulta come “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto” (sentenze n. 349 del 1985, n. 822 del 1988, n. 155 del 1990, n. 39 del 1993) non assurge a limite incondizionato alla retroattività delle leggi, ben potendo recedere a fronte di ulteriori esigenze inderogabili.

È la stessa giurisprudenza costituzionale a fornire indicazioni circa i parametri di riferimento dello scrutinio di non arbitrarietà e ragionevolezza da operare in questi casi. In particolare, l’individuazione del limite oltre il quale i mutamenti normativi non possono incidere sull’affidamento ingenerato da legislatore è stato ricercato attraverso la verifica congiunta: – del fondamento della norma in contestazione; – del grado di consolidamento dell’interesse dei privati a condurre i loro rapporti sulla base del quadro giuridico precedentemente tracciato dall’ordinamento; – del quomodo del mutamento normativo, in termini di prevedibilità e proporzionalità tra il peso imposto ai destinatari della norma e il fine perseguito dal legislatore (cfr. da ultimo, le sentenza n. 16 del 2017 e n. 203 del 2016).

Anche secondo la giurisprudenza della Corte EDU le leggi aventi efficacia retroattiva sono compatibili con la CEDU, purché l’incisione della sfera privata del soggetto sia legittima, diretta a perseguire un interesse pubblico e proporzionata al fine che si intende realizzare (ex plurimis, sentenza 13 gennaio 2015, Vékony contro Ungheria, paragrafo 32; sentenza 30 giugno 2005, Jahn e altri contro Germania, paragrafi 93-95).

Parimenti, sul versante del diritto eurounitario vale osservare che, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il principio di certezza del diritto, che ha come corollario quello della tutela del legittimo affidamento, impone, da un lato, che le norme di diritto siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, segnatamente quando possono avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese. In particolare, detto principio impone che una normativa consenta agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che essa impone loro e che questi ultimi possano conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi e regolarsi di conseguenza [sentenza del 15 aprile 2021, Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) e a., C-798/18 e C-799/18, EU:C:2021:280, punto 41 nonché giurisprudenza ivi citata].

I principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento richiedono, da un lato, che le norme giuridiche siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per coloro che vi sono sottoposti. Del pari, nelle materie disciplinate dal diritto dell’Unione, la normativa degli Stati membri deve essere formulata in modo non equivoco al fine di consentire ai soggetti interessati di conoscere i loro diritti e obblighi in modo chiaro e preciso e ai giudici nazionali di garantirne l’osservanza. Inoltre, occorre ricordare che, in linea di principio, è compatibile con il diritto dell’Unione una nuova norma giuridica che si applica a partire dall’entrata in vigore dell’atto recante la medesima, cosicché i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento non ostano, in linea di principio, alla possibilità per uno Stato membro di modificare una legge precedente con effetto immediato, senza prevedere un regime transitorio. Tuttavia, in situazioni particolari nelle quali i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento lo impongano, può essere necessaria l’introduzione di un siffatto regime adeguato alle circostanze (cfr. Corte giustizia UE sez. VII, 30/04/2020, n.184; sentenza del 9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstücksgemeinschaft, C-332/14, EU:C:2016:417, punto 56).

12.3. Tanto premesso, avuto riguardo allo specifico caso qui in rilievo, va revocata in dubbio la premessa avanzata dagli appellanti e qualificata sotto diversi profili giuridici, unitariamente valutabili per la loro comune essenza, circa l’esistenza di un affidamento ragionevole e tutelabile dal momento che, quando gli appellanti si sono iscritti ai corsi regionali, era già noto che l’abilitazione conseguita, a seguito e per effetto dei processi di riforma sopra passati in rassegna, permettesse di svolgere l’attività di massofisioterapista in qualità di “operatore di interesse sanitario”. D’altro canto, a partire dal 16.07.2013, la nuova qualificazione del massofisioterapista in termini di “operatore di interesse sanitario” è stata ufficializzata da parte del Ministero della Salute, e ciò in recepimento di quanto statuito, sulla scorta di una puntuale ricognizione della disciplina di settore, con la pronuncia di questa Sezione n. 3325/2013, la quale, per prima e definitivamente, ha chiarito la natura della figura professionale in argomento inaugurando così un orientamento giurisprudenziale rimasto fermo sui principi fin qui espressi.

La legge n. 145 del 2018, dunque, non impatta su una pregressa posizione riconosciuta e consolidata di guisa che nemmeno può ritenersi qui predicabile un affidamento tutelabile, dal momento che il legittimo affidamento postula la conservazione di una situazione giuridica esistente e maturata nella sfera giuridica del soggetto interessato, evenienza qui non in rilievo.

12.4. Anzi a ben vedere, lo sforzo di regolarizzazione compiuto dal legislatore con tale provvedimento si declina proprio nella ricerca di punto di ragionevole compromesso tra l’esigenza di salvaguardia dell’affidamento allo svolgimento dell’attività professionale di massofisioterapista da parte di quei soggetti – tra cui non sono inclusi gli odierni appellanti – già inseriti nel mondo del lavoro, siccome in possesso di un protratto vissuto professionale maturato oltretutto in un quadro di sostanziale incertezza normativa, con l’altrettanto meritevole esigenza di tutela della salute.

Infatti, la legge n. 145 del 2018, ben lungi dal cancellare la qualificata aspettativa dei suddetti massofisioterapisti a poter continuare nello svolgimento dell’attività già precedentemente esercita per un periodo significativo, si dispiega giustappunto, e proprio in ossequio al principio di affidamento, nel senso di salvaguardare la professionalità maturata, contemperando tale esigenza con l’interesse alla tutela della salute degli utenti, comunque garantiti dal possesso, in via compensativa, di un congruo requisito esperenziale ragionevolmente ritenuto idoneo a garantire l’erogazione di un appropriato trattamento sanitario.12.5. Né può ritenersi integrata una violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

Sul punto, infatti, non può che ribadirsi come il fluire del tempo ben possa costituire un elemento di diversificazione nella disciplina di situazioni giuridiche che sono solo apparentemente analoghe vivendo esse nell’ambito dell’ordinamento applicabile ratione temporis, naturalmente suscettivo di modifiche ed evoluzioni.

E ciò vieppiù a dirsi se il fluire del tempo non ha una valenza neutra ma si accompagna a una significativa differenziazione in punto di fatto, non irragionevolmente valorizzata dal legislatore: la posizione di chi, alla data di entrata in vigore della legge, aveva maturato una certa anzianità lavorativa non può essere infatti considerata eguale a quella di chi, alla stessa data, tale anzianità non aveva invece raggiunto, pur essendo in possesso del medesimo titolo di studio.

L’elemento temporale, cui si riconnette un diverso vissuto esperenziale, funge infatti da differenziazione sostanziale tra le due categorie di massofisioterapisti appena descritte: solo chi possiede l’anzianità lavorativa prevista dalla legge può dirsi parte di quel personale inevitabilmente più qualificato ed idoneo a garantire cure efficaci ed appropriate alla collettività. E, inoltre, sotto diverso profilo, solo i massofisioterapisti già da tempo inseriti nel mercato del lavoro svolgendo un’attività con autonomia professionale e dignità propria di professione sanitaria possono vantare un affidamento qualificato a vedersi riconosciuta in ottica conservativa una posizione già acquisita-

Deve escludersi, dunque, la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e va anzi evidenziata la ragionevolezza del testo legislativo contestato, i cui contenuti appaiono in realtà adeguati e congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore, che in questo caso è stato quello di tutelare la salute pubblica, valore presidiato nell’art. 32 della Cost., coniugandolo alla tutela di un affidamento qualificato nei termini sopra prospettato.

12.6. Del pari, nemmeno può ipotizzarsi un contrasto della disciplina qui in rilievo con gli artt. 4 e 41 della Cost., in quanto non può essere qui obliato il fatto che resti consentito ai soggetti che, alla data dell’entrata in vigore della l. n. 145/18, erano privi del diploma universitario, ovvero dei 36 mesi di esperienza professionale, di svolgere le mansioni di operatori di interesse sanitario di rilevanza regionale, coerentemente peraltro con quanto già da tempo previsto dall’ordinamento di settore.

12.7. Sotto diverso profilo, non persuade la tesi di una possibile violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in punto di mancato rispetto del principio di mutuo riconoscimento dei titoli abilitanti all’esercizio di una professione di cui all’53 TFUE, dal momento che il requisito esperenziale di 36 mesi richiesto dal legislatore italiano ai massofisioterapisti per continuare a svolgere con autonomia professionale l’attività di istituto sulla scorta dell’abilitazione conseguita nel previgente ordinamento vale a riallineare il bagaglio di professionalità richiesto ai fini di un esercizio appropriato di tale attività alle conoscenze e alle qualifiche oggi richieste dalla legislazione nazionale.

A tali fini non è superfluo rammentare che il diploma di massofisioterapista nel vecchio ordinamento si conseguiva all’esito di un percorso formativo in ambito regionale della durata di due/tre anni e che, viceversa, le condizioni minime di formazione per l’esercizio delle professioni sanitarie, tra cui quella di fisioterapista, presuppone oggi, in via ordinaria, il completamento del ciclo di studi della scuola secondaria e una formazione di livello universitario.

In altri termini, il requisito esperenziale si rivela una forma di compensazione necessaria, in vista della regolarizzazione della pregressa situazione di fatto, per uniformare, già sul piano nazionale, gli standard minimi di professionalità esigibili da determinate figure professionali oltretutto nella stretta osservanza delle esigenze di tutela della salute pubblica, premessa questa indefettibile per garantire poi operatività al principio del mutuo riconoscimento dei titoli in ambito europeo in vista dell’attuazione del principio della libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri.

E in tale sforzo il legislatore nazionale ha applicato un principio che si dispiega in coerenza con l’impianto regolatorio della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, la quale, infatti, prevede espressamente che “È assimilato a un titolo di formazione ogni titolo di formazione rilasciato in un paese terzo se il suo possessore ha, nella professione in questione, un’esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo” (art. 3 comma 3) e che lo Stato membro ospitante può “esigere dal richiedente un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o una prova attitudinale se: a) la formazione dallo stesso ricevuta riguarda materie sostanzialmente diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto nello Stato membro ospitante; b) la professione regolamentata nello Stato membro ospitante include una o più attività professionali regolamentate mancanti nella corrispondente professione nello Stato membro di origine del richiedente e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante riguarda materie sostanzialmente diverse da quelle oggetto dell’attestato di competenza o del titolo di formazione del richiedente” (art. 14).

E ciò senza, peraltro, trascurare che a mente del considerando 12 la direttiva in esame “riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri. Non riguarda, tuttavia, il riconoscimento, da parte degli Stati membri, di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a norma della presente direttiva. Pertanto, i titolari di qualifiche professionali che siano state riconosciute a norma della presente direttiva non possono utilizzare tale riconoscimento per ottenere, nel loro Stato membro di origine, diritti diversi da quelli conferiti grazie alla qualifica professionale ottenuta in tale Stato membro, a meno che non dimostrino di aver ottenuto qualifiche professionali addizionali nello Stato membro ospitante”.

Opinare diversamente significherebbe derogare al livello minimo di qualificazione necessaria fissato dal legislatore per garantire, in un ambito così delicato quale quello della tutela della salute, la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio.

I requisiti di definizione delle professioni sanitarie e legittimanti il loro esercizio rispondono, invero, ad un interesse di ordine generale di tutelare la collettività contro il rischio di un non appropriato trattamento sanitario di guisa che è tutt’altro che irragionevole la scelta del legislatore di demarcare con nettezza, presidiandole con la formazione di albi e di requisiti formativi ovvero esperenziali chiari, le professioni sanitarie dagli altri operatori di interesse sanitario in vista di una consapevole scelta di cura da parte dell’utente.

12.8. Infine, l’approdo decisorio qui in rilievo nemmeno impatta con il principio di cui alla direttiva ( UE) 2018/958 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 giugno 2018 ed entrata in vigore il 29 luglio 2018, a mente del quale gli organi regolatori degli Stati membri, prima di introdurre nuove disposizioni legislative o regolamentari o amministrative che limitano l’accesso alle professioni regolamentate o prima di modificare quelle esistenti (nel nostro caso la modifica per abrogazione dell’art.1 della legge 403 del 71), sono tenuti a compiere una valutazione procedimentalizzata e motivata di proporzionalità dell’intervento, che deve essere preceduta e preparata da un confronto con le parti interessate e dichiarata nel testo della legge.

E, invero, a mente dell’art. 13, della direttiva in esame “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 30 luglio 2020”, di guisa che alcun contrasto può dirsi sussistente tra i contenuti precettivi della legge 145/2018 e la suindicata fonte eurounitaria.

Alla trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno ha provveduto il d. lvo del 16.10.2020 n. 142.

Com’è noto, prima della scadenza del termine per il recepimento, resta inconfigurabile qualsiasi efficacia diretta nell’ordinamento interno delle direttive europee (sentenze CGUE 3 marzo 1994, causa C316/93, Vaneetveld, Racc. pag. I763, punto 16, nonché 14 settembre 2000, causa C348/98, Mendes Ferreira e Delgado Correia Ferreira, Racc. pag. I6711, punto 33), per quanto dettagliate e complete.

Ciò nondimeno, in pendenza del termine per il recepimento, il rispetto del principio di leale collaborazione sancito all’art. 4, par. 3, del Trattato UE impedisce, per un verso, al legislatore nazionale l’approvazione di qualsiasi disposizione che ostacoli il raggiungimento dell’obiettivo al quale risulta preordinata la direttiva (C. Giust., 18 dicembre 1997, C-129/96, Inter-EnvironnementVallonie) e impone, per un altro, ai giudici nazionali di preferire l’opzione ermeneutica del diritto interno maggiormente conforme alle norme eurounitarie da recepire, di guisa che non venga pregiudicato il conseguimento del risultato voluto dall’atto normativo europeo (C. Giust. UE, 15 aprile 2008, C-268/08, Impact).

Non solo, ma è stato anche escluso che possa riconoscersi qualsivoglia efficacia alle direttive non ancora recepite, che introducono nell’ordinamento un istituto nuovo, che, come tale, esige una compiuta disciplina normativa interna, necessariamente riservata in tutti i suoi aspetti al legislatore nazionale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2097; sez. IV, 28 maggio 2009, n. 3333).

E tale è il caso qui in rilievo dal momento che il legislatore comunitario con la direttiva suindicata ha introdotto una serie di vincoli di carattere generali, a partire dalla cura di preliminari adempimenti procedurali, che vincolano l’attività di produzione normativa degli organi regolatori e che implicano necessariamente un intervento normativo di armonizzazione degli ordinamenti.

Né vi è spazio per l’attivazione del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE che finirebbe per sollecitare, in maniera palesemente illogica e contraddittoria, un’interpretazione sulla portata precettiva di disposizioni, come detto non applicabili.

D’altro canto, e sotto diverso profilo, l’inapplicabilità della direttiva in argomento discende anche dal fatto che l’assetto normativo del profilo di massofisioterapista risulta definito ben prima della stessa data di adozione della direttiva suddetta.

E, invero, la fonte comunitaria mira a conformare le nuove disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che limitano l’accesso alle professioni regolamentate, o il loro esercizio, o la modifica di quelle esistenti.

È pur vero che, per effetto dell’art. 1 comma 542 della legge 145 del 2018, è stato abrogato l’articolo 1 della legge n. 403 del 1971, concernente, come si è visto, la professione sanitaria di massofisioterapista.

Pur tuttavia, e come già sopra anticipato, questa Sezione, con sentenza n. 7618/2021, successivamente confermata con sentenza 8036 del 2021, ha stabilito che tale abrogazione ha inciso esclusivamente sulla qualificazione normativa del massofisioterapista, dequotandola da “professionista sanitario” a “operatore di interesse sanitario”, mentre non ne ha soppresso l’ identità giuridica, nel senso che l’abolizione involge non già il profilo professionale tout court, ma sola la sua qualificazione come “professione sanitaria”; in secondo luogo, che l’operato intervento normativo non incide sull’attivazione dei corsi di formazione regionali, così come sino ad oggi avvenuta.

Si è, peraltro, già sopra evidenziato che la disposizione normativa in argomento, per come sopra interpretata dalla Sezione, nemmeno riflette un effettivo contenuto innovativo in quanto, da un punto di vista sostanziale, intercetta e si allinea ad un assetto regolatorio già consolidato: e, invero, in ragione di quanto già sopra ampiamente evidenziato, l’attitudine del diploma ex art. 1 della legge n. 403/1971 ad abilitare l’esercizio di una professione sanitaria intesa in senso proprio era già venuta meno di guisa che l’intervento abrogativo qui in rilievo esaurisce i suoi effetti su un piano meramente formale senza in alcun modo incidere né sulle condizioni di accesso alle professioni sanitarie né sul regime giuridico residuale dell’attività di massofisioterapista come riconducibile alla figura di operatore di interesse sanitario.

13.Alla luce delle suesposte considerazioni, tutte le questioni di contrasto con la normativa comunitaria e sovrannazionale devono ritenersi palesemente infondate e, pertanto, in aderenza alla sentenza non è necessario sollevare la questione dinanzi alla competente corte.

14.In definitiva, conclusivamente ribadite le svolte considerazioni, gli appelli devono essere respinti.

15.Il Collegio, tuttavia, non può esimersi dal rilevare come il processo di riforma sopra tratteggiato non possa dirsi ancora definitivamente compiuto in quanto rimasto inspiegabilmente incompleto della definizione in dettaglio dei contenuti propri della categoria residuale di operatore di interesse sanitario e del relativo ambito operativo. Come già evidenziato l’art. 1, comma 2, della legge 43/2006, lascia “ferma la competenza delle regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie” ma non risulta al Collegio che tale disciplina abbia avuto un coerente sviluppo.

In ragione di ciò, questa Sezione non può, dunque, che rilanciare lo stringente invito del giudice di prime cure affinché – anche eventualmente dietro impulso dello Stato centrale, in un’ottica di armonizzazione nazionale della regolamentazione di settore – intervenga al più presto e nel senso suindicato un chiaro e definitivo sviluppo regolatorio anche al fine di evitare gravi ricadute di tipo occupazionale e sociale.

16.Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’articolo 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una diversa conclusione.

17.Le spese del presente grado di giudizio in ragione della novità in fatto delle questioni scrutinate e della loro obiettiva complessità e controvertibilità possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:

Michele Corradino, Presidente

Giovanni Pescatore, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Umberto Maiello, Consigliere

Antonella De Miro, Consigliere, Estensore