Edilizia privata _ Sentenze

Pubblicato il 05/03/2021

01867/2021REG.PROV.COLL.

04550/2019 REG.RIC

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4550 del 2019, proposto da
____, rappresentata e difesa dall’avvocato ____, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in ____, corso ____;

contro

Comune di ____, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati ____, ____ e ____, domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino – Alto Adige, sezione di Bolzano, 20 marzo 2019 n. 73, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di ____;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2021 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati ____ e ____ in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art.25, comma 2, del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 4550 del 2019, ____ la propone appello avverso la sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino – Alto Adige, sezione di Bolzano, 20 marzo 2019 n. 73, con la quale è stato respinto il ricorso dalla stessa proposto contro il Comune di ____ per l’annullamento

– del provvedimento a firma del Direttore dell’Ufficio Gestione del Territorio del Comune di ____, prot. n. 62169/2018, in data 10.8.2018, successivamente conosciuto, avente a oggetto “richiesta di concessione edilizia prat. Nr. 2017-136-0. Ristrutturazione p.ed. 510 – p.m. 2 C.C. ____”, con il quale è stata respinta l’istanza presentata dalla ricorrente;

– di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente conseguente e/o comunque connesso, anche non cognito, nessuno escluso, in particolare

– dello sconosciuto parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 13.06.2017;

– dello sconosciuto parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 8.08.2018.

Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa:

“1. La ricorrente impugna il provvedimento epigrafato, con cui il Comune resistente ha negato la concessione edilizia per opere da realizzare nel piano sottotetto dell’edificio sito in via ____, p.m. 2 della p.ed. 510 C.C. ____.

2. Il progetto, secondo quanto si legge nella documentazione prodotta dal Comune, prevede la sollevazione della falda sul lato nord, con la formazione di un solaio di copertura piana a terrazza, collegata da una scala interna scoperta, entrambe da ricoprire con una tettoia in plexiglas. Anche sul lato sud è prevista la modifica della falda con la creazione di un balcone e la sostituzione dell’esistente abbaino di dimensioni contenute con un fronte finestrato su tutta la lunghezza della falda verso via ____. Si tratta dunque di un intervento modificativo della sagoma.

3. Il Comune ha ritenuto che l’intervento non potesse essere approvato perché non rispettoso della distanza di dieci metri rispetto agli edifici realizzati sulle pp.ed. 885 e 71/3, né di quella di cinque metri rispetto al confine con le medesime particelle.

Ha precisato sul punto che una deroga dalle prescrizioni distanziali di cui al D.M. n. 1444/1968 sarebbe ammessa, ai sensi dell’art. 59, comma 3, della L.P. n. 13/1997, per il solo caso della ricostruzione fedele (non ravvisabile nel caso di specie). Non poteva inoltre trovare applicazione l’art. 52 del D.P.G.P. n. 5/1998 che ammette gli abbaini in deroga alle distanze previste dal piano urbanistico comunale, purché realizzati entro il limite necessario alla corretta aeroilluminazione dei locali, limite determinato dalla richiamata disposizione in un decimo della superficie del vano. Il progettato innalzamento del solaio di copertura su tutta la superficie del vano, infatti, non sarebbe qualificabile, secondo il Comune, come “abbaino”.

4. Il ricorso, notificato al Comune di ____ il 30.10.2018, è sostenuto da cinque motivi di gravame, con i quali la ricorrente lamenta la contraddittorietà con una precedente concessione edilizia rilasciata per i medesimi lavori, la cui sussistenza avrebbe imposto all’Amministrazione, in caso di diniego, una motivazione rafforzata, invece assente; la violazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, il quale non troverebbe applicazione nel caso in cui, come nel presente, si tratti di opere di ristrutturazione e non vi sia alcuna parete finestrata frontistante né siano previste modifiche al colmo dell’edificio; la violazione dell’art. 52 del D.P.G.P. n. 5/1998, la cui applicazione sarebbe stata illegittimamente negata dal Comune, trattandosi del recupero di un sottotetto esistente già utilizzato come abitazione, per il quale la norma richiamata consentirebbe la realizzazione di abbaini necessari all’areazione dei vani recuperati nel rispetto delle distanze di cui all’art. 873 del codice civile, con esclusione, dunque, del D.M. n. 1444/1968; l’omessa comunicazione dei motivi ostativi e, infine, la violazione del legittimo affidamento determinato dal fatto che l’intervento proposto era già stato autorizzato in passato, con le concessioni edilizie del 2003 e del 2011.

5. Sulla scorta dei rilevati profili d’illegittimità del gravato diniego la ricorrente chiede dunque il suo annullamento previa concessione di una misura cautelare, ravvisando nell’impedimento alla realizzazione dei progettati interventi, necessari al miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e tecnologiche del sottotetto, un grave e irreparabile pericolo nelle more del giudizio.

6. Si è costituito il Comune di ____ che ha replicato alle censure avversarie ed ha concluso per il rigetto del gravame.

7. Con ordinanza n. 129/2018 il Collegio, ritenuto che le esigenze cautelari rappresentate dalla ricorrente fossero adeguatamente tutelabili con la sollecita fissazione del giudizio di merito, ha indicato per la discussione l’udienza pubblica del 6.3.2019, in vista della quale la ricorrente ha prodotto, nei termini di rito, una memoria conclusiva nella quale ha ribadito le argomentazioni già articolate con l’atto introduttivo del giudizio.

8. Trattenuta all’udienza del 6.3.2019 la causa giunge ora in decisione.”

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in merito al mancato rispetto delle distanze minime tra fabbricati.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di ____, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 27 giugno 2019, l’istanza cautelare veniva respinta con ordinanza 1 luglio 2019 n. 3363.

Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2021, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “1) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i.; Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.; Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.; Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà dei provvedimenti gravati con la concessione n. 175/2003 del 26.02.2003 e successivo prot. n. 26525/20111, rif. N. 698/2011 del 22.06.2011. Contraddittorietà estrinseca”, viene riproposto lo stesso motivo proposto in prime cure in relazione alla mancata considerazione della carenza di motivazione del diniego impugnato, siccome contraddittorio con il precedente titolo edilizio (concessione n. 175/2003 del 26.02.2003 e successivo prot. n. 26525/20111, rif. N. 698/2011 del 22.06.2011) rilasciato alla odierna appellante, e concernente analogo intervento, peraltro di portata maggiore rispetto a quello odiernamente denegato.

Trattandosi del medesimo intervento, già assentito, il primo giudice avrebbe errato nel non riscontrare una evidente contraddittorietà tra i provvedimenti, riverberantesi sull’illegittimità di quello gravato.

3. – La censura non può essere condivisa.

Correttamente, il Tribunale ha evidenziato la natura vincolata del permesso di costruire, il che incide sull’ampiezza della motivazione per il suo rilascio. Infatti, secondo la giurisprudenza pacifica (da ultimo, Cons. Stato, II, 13 giugno 2019, n. 3972), la definizione delle istanze di concessione edilizia comporta un accertamento di carattere vincolato, caratterizzato dalla verifica della conformità della richiesta con la normativa urbanistico edilizia, non essendo necessaria altra motivazione oltre quella relativa alla rispondenza dell’istanza a dette prescrizioni.

Detta affermazione generale non viene incisa, nel senso della contraddittorietà, dalla presenza di una previa valutazione positiva, quand’anche relativa alla stessa fattispecie (ma che la situazione sia la stessa è circostanza del tutto contestata dal Comune, che evidenzia il sovrapporsi di un diverso quadro normativo). L’eventuale contraddittorietà interna, come vanta la difesa appellante, è una singolare applicazione del principio del divieto di disparità di trattamento, dove la disparità non riguarda due soggetti diversi, ma due progetti successivi e, anche in questo ambito, l’esistenza di un accertamento vincolato esclude la fondatezza del vizio presunto (da ultimo, evidenzia la non predicabilità del vizio di eccesso di potere per contraddittorietà o per disparità di trattamento in rapporto ad atti vincolati, Cons. Stato, II, 16 novembre 2020, n.7104; id., II, 1 luglio 2020, n. 4184; id., VI, 2 novembre 2018, n. 6219).

4. – Con il secondo, terzo e quarto motivo di diritto, rispettivamente recanti “2) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento”; “3) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68 sotto ulteriore e diverso profilo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento”; e “4) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68 sotto ulteriore e diverso profilo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento”, si censurano le statuizioni della sentenza con cui è stato respinto l’originario secondo motivo di ricorso.

In particolare, viene lamentata la mancata considerazione che l’invocato art. 9 del D.M. 1444 del 1968, disciplina fondante il rigetto, era inapplicabile alla fattispecie, in quanto riguardante esclusivamente le nuove costruzioni, quale non è quella in esame. Per cui, sarebbe erronea l’affermazione del primo giudice per cui l’intervento in progetto sarebbe assimilabile alla “nuova costruzione”, poiché comporterebbe “una significativa modifica della sagoma in corrispondenza della copertura dell’edificio”.

Ci si duole inoltre dell’erronea applicazione della stessa disposizione, non essendovi pareti finestrate contrapposte.

Infine si sottolinea l’inapplicabilità della normativa derogatoria comunale, in specie in relazione al calcolo radiale delle distanze tra fabbricati.

1.1. – La censura, nei suoi diversi profili, va respinta.

In merito all’applicabilità dell’evocato art. 9 D.M. 1444 del 1968 e all’individuazione della nozione di ‘nuova costruzione’, occorre sottolineare come il mero rinvio all’art. 3, lett. e), del d.P.R. 380 del 2001 non appaia dirimente.

La giurisprudenza, sia amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, IV, 8 gennaio 2018, n.72; id., IV, 2 marzo 2018, n.1309) che civile (Cass. civ., II, 15 dicembre 2020, n.28612; id., II, 28 ottobre 2019, n.27476; id., II, 10 febbraio 2020, n.3043) ha evidenziato una tendenziale autonomia del concetto in ambito civilistico, rimarcando che, ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera (Cons. Stato, IV, 22 gennaio 2013, n. 354).

Nel caso in esame, anche a volersi unicamente fondare sulla relazione tecnica di parte (che ritiene che nel progetto “vengano riprese, con modifiche sia interne che esterne, le voci già oggetto della concessione ormai scaduta. La maggior parte delle opere previste interessano la copertura con una variazione minima di volume in diminuzione, determinata dalla compensazione tra volumi in aumento e volumi in detrazione. Le opere prevedono modifiche statiche solo nell’orditura del tetto, mentre tutte le strutture portanti dell’edificio non vengono modificate dagli interventi in progetto”), vengono comunque in evidenza interventi sulla volumetria dell’immobile. In particolare, come notato dal TRGA, rileva il sollevamento della falda sul lato nord, dove è prevista la realizzazione di una terrazza, e quello della falda sul lato sud, dove ci sarà l’innalzamento della copertura su una parte del prospetto in sostituzione del precedente abbaino, che era decisamente più ridotto.

In relazione ai singoli elementi progettuali, la violazione delle distanze appare quindi evidente, essendo così conseguentemente irrilevante la vantata qualificazione delle opere come interventi di ristrutturazione edilizia.

Va inoltre qui vagliata la circostanza che, nel computo complessivo della volumetria, l’intervento, compensando aumenti e diminuzioni, determina una complessiva riduzione dell’impatto; il che, a giudizio della parte appellante, renderebbe l’intervento non significativo anche dal punto di vista civilistico.

Tuttavia, tale esito appare recessivo di fronte all’esigenza di tutelare le distanze che, come recita il citato art. 9, sono quelle minime e che quindi possono essere violate anche solo puntualmente, atteso che il carattere di nuova costruzione va riscontrato in rapporto ai “caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno” (Cass. civile, II, 15 dicembre 2020, n.28612).

Conclusivamente sul punto, la censura, che si attaglia sulla dimostrazione della natura di ristrutturazione edilizia dell’opera, appare superata dall’esigenza dell’autonoma sussunzione nel concetto di nuova costruzione ai fini dell’applicazione della disciplina delle distanze legali.

In merito alla censura sull’erronea applicazione della stessa disposizione, non essendovi pareti finestrate contrapposte, va condiviso l’approccio del Tribunale, che ha evidenziato come la disposizione regolamentare sia integrata, a livello locale, dall’art. 1, lett. h) delle Norme di attuazione al piano urbanistico comunale di ____ rielaborate, come vigenti al momento del provvedimento, che recita:

“h) Distanza tra edifici: è la distanza minima radiale misurata in proiezione orizzontale tra le pareti più sporgenti degli edifici siti sullo stesso lotto o su lotti finitimi e/o dalla superficie coperta. Tale distanza nei fabbricati ad eccezione di fabbricati accessori preesistenti non può essere inferiore a 10 metri, salvo nel caso di fabbricati con pareti prive di vedute, come da codice civile.”

È palese che la disposizione comunale introduca strumenti più restrittivi di calcolo dell’osservanza delle distanze, utilizzando il criterio della distanza radiale, ossia non solo per gli interventi fronteggianti, ma valevole in ogni caso in cui la nuova costruzione vada ad intaccare lo spazio circostante gli edifici preesistenti, come considerato dalla disposizione comunale. Il che impone di considerare corretta la valutazione svolta dal primo giudice.

Infine, per quanto riguarda l’applicazione del calcolo radiale, questo è espressamente citato dalla normativa comunale applicabile; mentre in relazione alla possibilità che quest’ultima introduca limiti più rigorosi, va ricordato l’insegnamento di Corte cost., 16 giugno 2005, n.232 per cui “in materia di distanze tra fabbricati, primo principio, fissato in epoca risalente ma ancora di recente ribadito, è che la distanza minima sia determinata con legge statale, mentre in sede locale, sempre ovviamente nei limiti della ragionevolezza, possono essere fissati limiti maggiori.”

Conclusivamente, il motivo di ricorso deve essere integralmente respinto in tutte le sue sfaccettature.

5. – Con la quinta censura, recante “5) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 23 febbraio 1998, n. 5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento”, si censura la sentenza per aver disatteso il terzo motivo di ricorso, con il quale si era contestata la legittimità del gravato diniego, per l’erroneo supposto contrasto con l’art. 52 del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 23 febbraio 1998, n. 5, il quale ammette una deroga alle distanze per gli abbaini realizzati per il recupero dei sottotetti esistenti, già utilizzati come abitazione o comunque abitabili.

La doglianza è poi ampliata nel sesto motivo, rubricato “6) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 23 febbraio 1998, n. 5 sotto ulteriore e diverso profilo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento”, in relazione al dimensionamento del fronte finestrato.

5.1. – La censura, nella sua duplice prospettazione, non può essere condivisa.

La norma evocata, ossia l’art. 52 del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 23 febbraio 1998, n. 5 “Regolamento di esecuzione alla legge urbanistica provinciale”, prevede:

“In caso di recupero di sottotetti legalmente esistenti, già utilizzati o utilizzabili come abitazioni in base alle vigenti disposizioni igienico-sanitarie, possono essere realizzati abbaini in eccedenza alla cubatura esistente allo scopo di consentire l’areazione di vani abitativi recuperati nella misura minima richiesta dal comma 3 dell’articolo 2 del regolamento di esecuzione concernente gli standards in materia di igiene e sanità, approvato con decreto del Presidente della giunta provinciale 23 maggio 1977, n. 22. La superficie di calpestio così acquisita non può superare questa misura minima.

“Questi abbaini possono essere realizzati solo in caso di vani abitativi esistenti o progettati qualora l’apertura di finestre nei muri perimetrali non risulti possibile.

“Ciò vale senza pregiudizio delle esigenze di tutela ambientale e monumentale. In deroga alle norme sulle distanze previste dai piani urbanistici comunali gli abbaini possono essere realizzati osservando le distanze di cui agli articoli 873 e seguenti del codice civile.”

Come si legge, la nozione di abbaino, quale strumento per consentire l’areazione dei vani abitativi quando non sia possibile la realizzazione di finestre, evidenzia la natura del detto elemento architettonico, come un’apertura con finestra, sporgente rispetto allo spiovente della copertura, destinato all’aereazione (ma anche all’illuminazione) del sottotetto e talvolta anche per accedere al tetto stesso.

Nel caso in esame, rispetto ad un concetto che implica una apertura limitata in senso dimensionale in modo tale da ospitare una finestra, si è assistito ad un progetto che, se descrive l’intervento come una “modifica dell’abbaino esistente con ampliamento verso via ____ a copertura della sottostante camera da letto”, dall’altro determina un “innalzamento del solaio di copertura su tutta la superficie del vano”, venendo così meno alla natura puntuale dell’apertura e giustificando la valutazione del provvedimento impugnato che ritiene erronea la qualificazione come abbaino, con una valutazione del tutto condivisibile.

L’assunto è poi confortato, in senso dimensionale, dal richiamo all’art. 2, comma 3, del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 23 maggio 1977, n. 22 “Regolamento di esecuzione concernente gli “standards” in materia di igiene e sanità” che prevede che “Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile, la cui superficie non dovrà essere inferiore a 1/10 della superficie del pavimento e non inferiore a 1/12 per i fabbricati al di sopra di 1.000 m sul livello del mare.” Il detto limite viene invece superato, determinando quindi la non assentibilità dei presunti (ma non tali) abbaini in deroga alle prescritte distanze.

Conclusivamente, l’opera progettata non può essere inquadrata né concettualmente né dimensionalmente nella nozione di abbaino valevole nella disciplina del recupero dei sottotetti; per tali ragioni, il motivo di appello va respinto.

6. – Con il settimo motivo, recante “7) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, presupposti e motivazione. Travisamento. Omessa comunicazione dei motivi ostativi”, si lamenta il rigetto della doglianza sul mancato invio dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di concessione edilizia, con conseguente violazione dei principi del contraddittorio e della partecipazione procedimentale.

La detta omessa comunicazione dei motivi ostativi, lungi dal costituire un mero vizio di carattere formale, avrebbe invece inciso in modo sostanziale sul contenuto del provvedimento finale, peraltro in senso sfavorevole alla parte appellante.

6.1. – La censura non può essere condivisa.

È dato pacifico in giurisprudenza che l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 dell’istanza che ha avviato un procedimento ad istanza di parte, non è idonea a determinare di per sé l’annullabilità del provvedimento finale, avuto riguardo a quanto disposto dall’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della stessa l. n. 241 del 1990, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ex multis, Cons. Stato, II, 12 febbraio 2020, n.1081).

Nel caso in esame, il TRGA ha fatto corretta applicazione del principio, evidenziando la natura vincolata del provvedimento emanato (circostanza peraltro già aliunde evidenziata) e l’esistenza, qui confermata, di un contrasto tra il progetto presentato e la normativa edilizia.

7. – Con l’ottavo motivo, rubricato “8) Erroneità della sentenza per Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e ss. del DPR n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione degli artt. 66 e ss. della Legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione del principio dell’affidamento ingeneratosi nella ricorrente in ragione della concessione n. 175/2003 del 26.02.2003 e successivo prot. n. 26525/20111, rif. N. 698/2011 del 22.06.2011. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. Mancata rilevazione dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria. Violazione del principio dell’affidamento”, si censura la mancata considerazione del legittimo affidamento, ingenerato nella ricorrente, dal Comune che aveva già rilasciato due titoli edilizi relativamente al medesimo immobile, per un intervento analogo, poi non realizzato.

7.1. – La censura non può essere condivisa.

Occorre in primo luogo notare che il rilascio della precedente concessione edilizia non aveva determinato alcuna utilità in capo alla parte appellante, atteso che la concessione edilizia del 2003 – 2011 è poi decaduta per mancato inizio dei lavori. Non è quindi predicabile alcuna incisione dell’amministrazione su situazioni già determinatesi, il che implica il posizionamento della fattispecie al di fuori dell’ordinario perimetro della tutela dell’affidamento incolpevole, che si determina ogni qualvolta il privato possa confidare sul già intervenuto rilascio di un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica (anche perché l’eventuale lesione riguarda non già un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell’integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato, così Cass. civ., sez. un., 8 marzo 2019, n.6885).

Pertanto, la parte poteva solo confidare nell’accoglimento della sua istanza e quindi del rilascio di un provvedimento favorevole, condizionato ovviamente al rispetto della strumentazione urbanistica vigente, circostanza questa non verificatasi.

Deve quindi escludersi la sussistenza di alcun affidamento incolpevole tutelabile, con conseguente rigetto della censura.

8. – Infine, con un ulteriore motivo recante “II. In via subordinata. 9) Erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art.92 c.p.c.”, si lamenta l’illegittima condanna dell’originaria ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio a favore del Comune.

8.1. – La censura non può essere condivisa.

Occorre in primo luogo ricordare che, per giurisprudenza pacifica, il giudice di primo grado ha ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese e, se del caso, al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (da ultimo, Cons. Stato, IV, 30 dicembre 2020, n.8517; id., IV, 23 ottobre 2020, n.6407; id., IV, 21 settembre 2020, n.5545). Il che comporta che nel processo amministrativo la valutazione di merito sulla compensazione delle spese giudiziali non è sindacabile in appello neppure per difetto di motivazione, essendo fondata su considerazioni di opportunità ampiamente discrezionali, non sindacabili in sede di gravame se non nel caso di evidente irrazionalità (Cons. Stato, II, 27 ottobre 2020, n.6557; id., III, 7 settembre 2020, n.5374).

Nel caso in esame, la detta evidente irrazionalità non appare, atteso che il TRGA ha effettivamente condannato la parte soccombente e il quantum di spese non appare esorbitante rispetto ai minimi tabellari previsti.

9. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 4550 del 2019;

2. Condanna ____ a rifondere al Comune di ____ le spese del presente grado di giudizio, che liquida in €. 3.000,00 (euro tremila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, se dovuti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere