Edilizia privata, Procedimento amministrativo, Riparto di giurisdizione, Urbanistica _ Sentenze

Pubblicato il 29/04/2022

03408/2022REG.PROV.COLL.

02486/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2486 del 2019, proposto da
_____, _____, _____, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato _____, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di _____ (_____), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato _____, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in _____;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 00729/2019, resa tra le parti, concernente domanda di risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di _____ (_____);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2022 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati _____ e _____;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame la società _____ e i sigg.ri _____ e _____ impugnavano la sentenza n. 729 del 2019 con cui il Tar Lazio ha respinto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto – in riassunzione, dopo la declaratoria di difetto di giurisdizione della Corte d’Appello di Roma – dagli stessi soggetti al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dal Comune di _____, a causa dal mancato rilascio di una concessione edilizia in sanatoria per le opere realizzate su immobili di proprietà dei ricorrenti.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, gli appellanti formulavano i seguenti motivi di appello:

– travisamento dei fatti, sviamento di potere, illogicità manifesta nella ritenuta mancanza dell’elemento oggettivo della responsabilità, per la sussistenza del nesso causale, in quanto i danni lamentati dalla famiglia _____ non sono conseguenza diretta del danneggiamento o dell’abuso edilizio, ma derivano piuttosto dalla carenza di istruttoria e dalla negligente condotta dell’amministrazione che ha negato la sussistenza del diritto di proprietà degli istanti;

– erroneità della sentenza per travisamento dei fatti, sviamento di potere, illogicità manifesta della motivazione nella ritenuta mancanza di colpa in capo al Comune, titolare del potere di sanatoria di cui al provvedimento di rigetto lesivo.

Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di irricevibilità e di inammissibilità della domanda, la declaratoria di prescrizione ed il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2022, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1.Oggetto della presente controversia è la domanda risarcitoria, originariamente proposta dinanzi al giudice ordinario, respinta dalla sentenza impugnata e dedotta nuovamente nel presente giudizio di appello attraverso la critica alle argomentazioni svolte dal Giudice di prime cure.

2.Il corretto inquadramento delle deduzioni, in merito alla sussistenza dei presupposti della responsabilità risarcitoria e delle conseguenti voci di danno, presuppone un riassunto della fattispecie, conseguente all’esame della documentazione in atti. Peraltro, sul punto la ricostruzione svolta in fatto dalla sentenza di prime cure appare nella sostanza pacifica.

2.1 I coniugi _____ e _____, odierni appellanti, agiscono quali originari proprietari, a partire dal 30 dicembre 1996, degli immobili siti nel Comune di _____ e destinati ad attività commerciale, di seguito individuati: al fg. 4, particella 22, sub. 1, 2 e 3 piano seminterrato di circa mq 10; locale commerciale adibito a ristorante, portico, cucina e locale dispensa a servizio del ristorante per una superficie complessiva di circa mq 600; primo piano adibito ad abitazione di circa mq 105 con annessa corte iscritta al catasto terreni al fg. 4, particella 89 di circa mq 2080 adibita ad orto e servizi di uso esclusivo dell’attività commerciale.

2.2 A seguito di un incendio dolosamente procurato dallo stesso _____ il 21 gennaio 1997 – come accertato con sentenza penale di condanna del Tribunale di Rieti, Sezione distaccata di Poggio Mirteto del 6 giugno 2001, n. 159 – i proprietari presentavano in data 26 agosto 1997, prot. 8528, una d.i.a. al fine di eseguire lavori di risanamento e consolidamento statico del fabbricato.

2.3 Il Comune di _____, dopo aver riscontrato con sopralluogo tecnico l’esecuzione di opere in difformità dalla d.i.a. per le quali sarebbe stato necessario il rilascio di concessione edilizia, in data 7 maggio 1998 ordinava ai ricorrenti la demolizione delle opere abusive e denunciava gli stessi anche in sede penale, con conseguenti sequestro degli immobili, sospensione delle licenze ed interruzione dell’attività imprenditoriale, unica fonte reddituale della famiglia _____. Il Tribunale di Rieti e la Corte di Appello di Roma, accertato l’illecito penale, condannavano lo stesso _____ alla pena dell’arresto e dell’ammenda, oltre alla demolizione delle opere abusive con ripristino dello stato dei luoghi.

2.4 Gli odierni appellanti in data 28 gennaio 2000, prot. 1454, procedevano alla presentazione di un progetto in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, oggetto di successivo rigetto da parte dell’amministrazione comunale (con diniego di concessione edilizia in sanatoria, prot. 15961 del 25 settembre 2000), per mancanza del titolo di proprietà, risultando l’area oggetto di intervento gravata da uso civico a favore dell’ente locale stesso.

2.5 Gli stessi odierni appellanti non impugnavano tale diniego e in data 7 febbraio 2001 agivano innanzi al Tribunale civile di Rieti nei confronti del venditore dante causa, l’Istituto _____, al fine di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita del compendio immobiliare del 30 dicembre 1996 nonché la condanna al risarcimento dei danni. Il giudice civile, con ordinanza di sospensione del giudizio, demandava al Commissario per la liquidazione degli usi civici l’accertamento della “natura demaniale civica e la sussistenza di usi civici” sull’immobile compravenduto.

2.6 Il predetto giudizio civile veniva abbandonato a seguito dell’intervenuta decisione del 13 marzo 2006 del Commissario per la liquidazione degli usi civici del Lazio, Toscana ed Umbria, con cui il compendio immobiliare in questione veniva dichiarato estraneo al demanio collettivo e non altrimenti gravato da diritti civici a favore della collettività, bensì di esclusiva proprietà privata.

2.7 Gli odierni appellanti quindi, in data 3 ottobre 2007, avviavano un nuovo giudizio civile nei confronti del Comune di _____, chiedendo la condanna al risarcimento del danno derivante dal comportamento erroneo ed illecito dell’amministrazione locale, la quale avrebbe adottato il provvedimento di diniego della concessione in sanatoria senza verificare la correttezza dell’accertamento demaniale effettuato dalla Regione Lazio.

2.8 All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale civile di Rieti, con sentenza n. 135/2010, accoglieva la domanda risarcitoria; il Comune di _____ proponeva appello, con istanza di immediata sospensione, sollevando in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

2.9 La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 3833 del 13 maggio 2014, in riforma di quanto disposto in primo grado, dichiarava il difetto di giurisdizione ordinaria in ordine alla domanda risarcitoria, dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo.

2.10 Con atto di riassunzione, quindi, gli odierni appellanti riproponevano innanzi al giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni causati dal mancato rilascio di concessione in sanatoria per le opere realizzate sugli immobili di loro proprietà, quantificati in 2.000.000,00 di euro.

2.11 Il Tar Lazio, con la sentenza qui appellata, senza esaminare le eccezioni preliminari (sollevate solo nel giudizio amministrativo di primo grado – ma non in quello civile precedente – e poi riproposte dal Comune in appello) respingeva la domanda nel merito sotto due profili.

In primo luogo, in quanto all’origine della sequenza causale che ha portato alla chiusura dell’attività economica di ristorazione in oggetto, non vi sarebbe il provvedimento di diniego del Comune, bensì una pluralità di comportamenti illeciti connessi, tutti imputabili agli odierni ricorrenti. Da un lato, la circostanza per cui il grave danneggiamento al compendio immobiliare in oggetto, verificatosi a seguito dell’incendio del 21 gennaio 1997, fu procurato deliberatamente dallo stesso ricorrente _____, “con conseguente sua condanna per i reati di incendio, fraudolenta distruzione della cosa propria e simulazione di reato, (cfr., di tale circostanza dà atto la sentenza del Tribunale di Rieti, Sezione distaccata di Poggiomirteto del 6 giugno 2001, n. 159)”. Dall’altro lato, il fatto che l’asserita demanialità dell’area è una mera circostanza aggravante del reato urbanistico contestato in sede penale nei riguardi degli odierni ricorrenti, poiché l’elemento materiale portante della condanna riguarda la difformità dei lavori accertati nel corso del sopralluogo del 30 aprile 1998 dall’ufficio tecnico comunale, rispetto a quelli indicati nel progetto allegato alla D.I.A. presentata al Comune di _____.

In secondo luogo, in quanto il Comune non potrebbe in ogni caso esser ritenuto responsabile del diniego della sanatoria richiesta dai ricorrenti il 28 gennaio 2000, poiché la demanialità dell’area è stata affermata sulla base dell’accertamento istruttorio effettuato del consulente tecnico nominato della Regione Lazio, ossia dall’ente territoriale cui l’ordinamento attribuiva in via esclusiva le “funzioni amministrative finalizzate al riordino degli stessi usi civici accertati o dei quali deve essere accertata la esistenza”.

3.Così ricostruita la fattispecie, occorre prendere le mosse dal richiamo, in linea di diritto, delle principali coordinate dettate dalla giurisprudenza di questo Consiglio in materia di responsabilità risarcitoria della p.a.

3.1 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. III , 04/03/2019 , n. 1500).

In materia, infatti, il diritto al risarcimento del danno presuppone una condotta non iure che abbia determinato, nel patrimonio del danneggiato, la lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico; nello specifico ambito della responsabilità civile della pubblica amministrazione per atto o comportamento amministrativo illegittimo, la responsabilità risarcitoria postula, più specificamente, una spendita viziata del potere che, esorbitando dallo schema sostanziale e procedimentale delineato dalla legge attributiva, abbia leso almeno colposamente un interesse legittimo del privato, vulnerandone la sfera giuridica (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 30/11/2018, n. 6819).

3.2 E’ stato altresì ribadito che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, anche laddove acclarata con l’annullamento giurisdizionale, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere più o meno vincolato (quindi, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità) della statuizione amministrativa. Invece, l’elemento psicologico della colpa della P.A. va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenze, omissioni d’attività o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5409; cfr. altresì sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 909)

3.3 In proposito, ai fini del giudizio risarcitorio a carico dei soggetti pubblici, il (necessario) requisito della colpa (c.d. d’apparato) deve essere individuato nella accertata violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero nella negligenza, nelle omissioni o negli errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; viceversa, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 24 gennaio 2020, n. 601).

3.4 In termini di presupposti, perché sia configurabile la responsabilità della Pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo sono necessari: a) l’elemento oggettivo; b) l’elemento soggettivo; c) il nesso di causalità materiale o strutturale; d) il danno ingiusto, inteso come lesione della posizione di interesse legittimo correlata ad un bene della vita (che in caso di interesse pretensivo presuppone un giudizio prognostico favorevole sulla relativa spettanza) e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano delle conseguenze e, dunque, delle modalità di determinazione del danno, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (cfr. ad es. Consiglio di Stato, 29 gennaio 2020, n. 732).

4.Così chiarito il quadro generale prodromico alla verifica dei presupposti della evocata responsabilità risarcitoria, vanno esaminate le deduzioni svolte dalle parti avverso la sentenza impugnata.

5.Per ciò che concerne le difese di parte appellante, va condivisa in parte quala critica alle argomentazioni di merito poste a base del rigetto della domanda, secondo cui i danni sarebbero imputabili alla parte stessa o ad ente diverso dal Comune; infatti, entrambi i presupposti evidenziati dal Tar, sopra riassunti, non appaiono pienamente corretti né dirimenti.

5.1 Sul primo versante, l’incendio doloso, per quanto sia stato un comportamento delittuoso come tale accertato in sede penale, non risulta aver avuto causalità diretta (men che meno immediata) rispetto a quanto lamentato, in quanto circostanza temporalmente anteriore ai lavori eseguiti ed alla domanda di sanatoria degli stessi, poi erroneamente rigettata sulla base di un (unico) presupposto – l’esistenza di uso civico – rivelatosi inesistente, mentre l’abusività delle opere (parimenti penalmente sanzionata) sarebbe stata sanata – con effetti ex lege anche sul versante penale – in assenza del medesimo erroneo motivo di diniego circa la presunta demanialità dell’area.

5.2 Sul secondo versante, la competenza endoprocedimentale in tema di usi civici non può escludere la responsabilità finale del Comune, titolare sia in generale della competenza primaria edilizia sia, in dettaglio, dell’uso civico vantato ed inesistente. Il che non esclude un possibile concorso della Regione nella causazione del danno qui lamentato dal privato, in particolare per avere indotto in errore il Comune, il che avrebbe potuto determinare il secondo ad una chiamata in causa o potrà fondare un’azione di rivalsa nei confronti della prima.

6.Occorre pertanto passare all’esame delle altre eccezioni, non esaminate dal Tar e riproposte in appello dalla difesa comunale.

7.Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità per genericità, in quanto sia la domanda originaria sia l’atto di appello contengono il riferimento ai fatti dedotti nonché le critiche mosse alla sentenza impugnata.

Inoltre, in linea generale, contrariamente a quanto riproposto dal Comune in termini di irricevibilità, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio non si applica la pregiudiziale amministrativa neppure alle cause anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 marzo 2021, n. 1869). Va al riguardo precisato che il termine decadenziale di centoventi giorni, previsto dall’art. 30, comma 3, del codice per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del medesimo codice; quindi, non è applicabile a domande, ancorché riassunte nella vigenza del codice del processo amministrativo, che assumano a presupposto vicende e sentenze anteriori all’entrata in vigore del suddetto codice e soggette al solo termine di prescrizione quinquennale.

La mancata, a suo tempo, impugnazione del diniego di sanatoria, di cui non fu chiesto l’annullamento, può avere rilevanza in questo particolare caso sul piano della determinazione del danno, come si dirà più avanti.

8.Peraltro, sempre in via preliminare, va evidenziato come le eccezioni in esame, compresa quella di prescrizione quinquennale che è come noto un’eccezione in senso stretto, siano state sollevate per la prima volta solo, a distanza di anni, in sede di riassunzione dinanzi al giudice amministrativo e non, come correttamente dedotto da parte appellante, per contrastare l’originaria proposizione della domanda, dinanzi al giudice civile nel termine di decadenza di cui all’art. 167 c.p.c.

8.1 Pertanto, le stesse eccezioni appaiono tardive e, conseguentemente, inammissibili.

8.2 In materia va ribadito, infatti, che il processo iniziato davanti ad un giudice di una giurisdizione, che ha poi dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell’unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti al giudice carente della giurisdizione (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI n. 287 del 2021 e Cass. sezioni unite civili 21 aprile 2011, n. 9130 e n. 23596 del 2010).

9.Passando all’esame del merito, la domanda risulta in parte fondata.

Infatti, coerentemente agli orientamenti sopra riassunti, nel caso di specie sussistono i presupposti della responsabilità della p.a.

9.1 In primo luogo, in termini di elemento oggettivo, l’illegittimità di un diniego, basato su di un unico erroneo presupposto (senza del quale poteva apparire “più probabile che non” il rilascio della sanatoria: l’argomento in ordine alla sua tardività è stato introdotto solo in giudizio e non appare persuasivo), smentito dagli accertamenti svolti dalle stesse amministrazioni coinvolte nel procedimento; al riguardo, la competenza primaria e la riferibilità della titolarità dell’uso civico in capo allo stesso Comune escludono la configurabilità del tentativo comunale di attribuire alla Regione per intero la relativa responsabilità.

9.2 In secondo luogo, in termini di elemento soggettivo, la colpa della p.a., in assenza di elementi di scusabilità. In proposito, lo stesso rilascio di titoli edilizi nell’area presuntivamente interessata dall’uso civico, poi risultato insussistente, esclude in radice la scusabilità dell’errore; né sul punto emergono elementi qualificabili in termini di incertezze normative o giurisprudenziali. L’unico motivo di diniego opposto si è rivelato insussistente, a dimostrazione che quel diniego non era stato ponderato e fondato su di un’istruttoria completa.

9.3 In terzo luogo, la determinazione, nel patrimonio del danneggiato, della lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, avente ad oggetto, nel caso di specie, la sanatoria degli interventi edilizi di risistemazione del bene, con conseguente concorrente effetto di estinzione della responsabilità penale e di (più che) possibile riapertura dell’attività economica.

9.4 In quarto luogo, il nesso di causalità fra queste lesioni ed il comportamento comunale, atteso che è evidente come il tempestivo rilascio della richiesta sanatoria – illegittimamente negata per un (unico) presupposto inesistente – avrebbe evitato i danni conseguenti.

9.5 Per ciò che concerne le voci di danno oggetto di domanda risarcitoria, sulla scorta di quanto provato da parte appellante, su cui grava il relativo onere, non è dimostrato il nesso di causalità con riferimento ai danni alla persona mentre è fondata invece la deduzione in termini di lucro cessante, in ordine al mancato guadagno derivante dallo svolgimento delle attività commerciali che avrebbero potuto riprendere negli immobili di causa in caso di tempestivo rilascio della sanatoria negata. Si intende che il danno ristorabile è solamente quello che copre il periodo temporale compreso tra la data del diniego, nel 2000, e la data in cui, nel 2006, appurata l’insussistenza dell’unico motivo ostativo opposto alla sanatoria, il privato avrebbe ben potuto richiederla nuovamente e verosimilmente a quel punto conseguirla, il che non fece.

9.6 In proposito, quale base di valutazione occorre fare riferimento, quale parametro tendenziale, alla documentazione prodotta da parte appellante relativa alle attività commerciali svolte dagli appellanti nei locali di proprietà negli anni immediatamente precedenti (dichiarazioni dei redditi anni 1996 e 1997; conteggio reddito presunto anni successivi). In difetto di allegazioni ulteriori che consentano una immediata stima del presumibile ristoro, non resta, per la liquidazione del mancato utile a titolo risarcitorio, che fare ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. condanna sui criteri prevista dall’art. 34, comma 4, cod.proc.amm.

9.7 Per l’effetto va ordinato all’amministrazione appellata di proporre agli appellanti, entro 90 giorni dalla pubblicazione della presente senza, il pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, nei termini predetti, importo che dovrà essere decurtato della metà (ai sensi dell’art. 1227 c.c.), tenuto conto sia dei danni che il privato avrebbe potuto (almeno in parte) evitare qualora a monte non avesse commesso l’abuso ovvero avesse prontamente impugnato in giudizio il diniego della sanatoria o almeno ne avesse chiesto il riesame con sollecitudine in sede amministrativa sia per quanto verosimilmente conseguito a titolo di aliunde perceptum durante gli anni di riferimento, tra il 2000 e il 2006; il tutto maggiorato per la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo Istat.

10.Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolta la domanda risarcitoria nei termini predetti.

Sussistono giusti motivi, stante la peculiarità della vicenda e l’esito complessivo, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie la domanda risarcitoria nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2022 con l’intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere