Corte dei conti (sentenze), Pubblico impiego _ Sentenze

REPUBBLICA ITALIANA

Sentenza

151/2022

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA

Il giudice delle pensioni in composizione monocratica (consigliere Andrea Luberti) ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Nel giudizio in materia di pensioni, iscritto al numero 62267 del registro di segreteria.

Proposto da: B.V., –

Rappresentato e difeso dagli avvocati _____ (posta elettronica certificata: _____) e _____ (posta elettronica certificata: _____), ed elettivamente domiciliato in forza di procura speciale presso lo studio del secondo, sito in _____.

Contro: Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, alla via Ciro il Grande, 21.

INPS – direzione Provinciale di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Pisa, alla piazza Francesco Domenico Guerrazzi, 17.

Ente rappresentato e difeso dagli avvocati _____ (posta elettronica certificata: _____) e _____ (posta elettronica certificata: _____); domiciliato presso l’Avvocatura dell’INPS in _____.

Per l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“Si chiede che codesta Ecc.ma Corte dei Conti voglia, • in via principale, accogliere il ricorso proposto, con annullamento dei provvedimenti impugnati così come in epigrafe specificati e, per l’effetto, dichiarare l’irripetibilità della somma richiesta (€ 10.598,61) o di quella diversa ed inferiore accertata e ritenuta di giustizia, con condanna della competente P.A. alla restituzione delle somme di cui abbia già disposto la trattenuta sulla pensione del ricorrente, per il caso di accertata e dichiarata non debenza, comprensive di interessi e rivalutazione dal dì del dovuto sino al saldo; • In via subordinata, nella denegata ipotesi di rigetto della domanda principale, accogliere il ricorso e per l’effetto annullare gli atti impugnati nella parte in cui è stata disposta la ripetizione delle somme con riferimento al periodo compreso tra il 1.4.2006 e il 19.4.2010, ovvero il diverso periodo ritenuto di giustizia, per intervenuta prescrizione, con condanna della competente P.A. alla restituzione delle somme di cui abbia già disposto la trattenuta sulla pensione del ricorrente e riferite al periodo in cui tali somme non avrebbero potuto essere oggetto di ripetizione per maturata prescrizione del credito, comprensive di interessi e rivalutazione dal dì del dovuto sino al saldo”.

Visto il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (codice di giustizia contabile);

Esaminati gli atti e i documenti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza in data 3 maggio 2022, gli avvocati _____ _____ e l’avvocato _____.

RITENUTO IN FATTO

Con il ricorso in esame l’attore, già colonnello dell’Aeronautica militare, è insorto nei confronti degli atti che hanno disposto il recupero, a valere sui ratei di pensione in godimento, della somma di euro 10.598,61, con rateizzazione per quarantaquattro mensilità.

Al riguardo il ricorrente ha esposto che detto indebito risulterebbe dalla differenza tra la pensione provvisoria, concessa con determinazioni in data 10 maggio 2006, n. – e 17 gennaio 2008, n. – , e quella definitiva, espressa con gli atti meglio citati in epigrafe, e comunicata allo stesso in data 20 aprile 2020.

Il ricorrente ha, pertanto, lamentato la violazione della disciplina di settore che preclude o, quantomeno, limita la possibilità di recupero dei ratei di pensione (primo motivo di ricorso, che contesta tra l’altro la violazione dell’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1986, n. 538; degli articoli 204/208 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092; nonché la carenza di istruttoria e motivazione, la violazione del principio di trasparenza e l’ingiustizia del provvedimento). Il ricorrente ha altresì evidenziato, con riferimento al conguaglio operato, la violazione dell’articolo 162 (sempre del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973); degli articoli 2 e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241; dei principi di irripetibilità per la buona fede del percipiente, di autoresponsabilità della pubblica amministrazione e di quelli comminati dall’articolo 36 della Costituzione; nonché l’eccesso di potere, il difetto di motivazione, l’errore nei presupposti, l’illogicità e la manifesta ingiustizia, sempre in relazione alle trattenute operate dall’amministrazione procedente.

In subordine, la difesa del ricorrente ha, comunque (terzo ordine di motivi) ritenuto applicabile l’istituto della prescrizione per le somme con decorrenza della corresponsione superiore al decennio, calcolato a ritroso, rispetto alla liquidazione definitiva del trattamento previdenziale.

L’INPS si è costituito con note di memoria in data 7 aprile 2022, evidenziando la non contestata sussistenza dell’addebito e l’infondatezza nel merito del ricorso. In via preliminare, e sotto il versante processuale, ha attribuito l’attività di recupero alle diverse determinazioni in ordine al trattamento previdenziale da parte del Ministero della difesa, chiedendo pertanto l’evocazione in giudizio di tale dicastero. Quanto all’eccezione di prescrizione, l’ente adito ha appunto rilevato di aver potuto fatto valere il diritto solo a far data dalla trasmissione del decreto di attribuzione della pensione definiva, intervenuta con nota in data 17 agosto 2018, n. 227.

All’udienza in data 3 maggio 2022 le parti hanno insistito nelle richieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato dall’istante mira a contestare la legittimità e consequenzialmente a caducare una i provvedimenti dell’INPS, che hanno determinato a proprio carico una decurtazione del trattamento previdenziale, al fine di ripetere le somme indebitamente attribuite in pendenza della liquidazione definitiva della pensione. Peraltro, deve essere precisato che, in conformità al carattere sostanziale della cognizione della Corte dei conti sul rapporto previdenziale (ex multis la Sezione con sentenza 27 giugno 2019, n. 244) la richiesta si risolve nel senso di una richiesta di concessione di un maggior trattamento previdenziale, in quanto al netto della decurtazione.

In via preliminare e sotto il versante processuale, deve comunque essere rigettata la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della difesa. Infatti, la trattenuta contestata è integralmente addebitabile all’ente previdenziale, sia pure per quanto di propria più limitata competenza in quanto soggetto erogatore, e sempre tale ente presenta una piena legittimazione passiva.

Nel merito, il ricorso è fondato, per i motivi di seguito esposti.

In linea di principio, la disciplina della ripetizione in ambito previdenziale, come accennato dal ricorrente, deroga, in larga parte al diritto comune delle obbligazioni regolato dall’articolo 2033 del codice civile. Infatti, in ragione della funzione retributiva assegnata alle prestazioni previdenziali, tali erogazioni, ove erroneamente definite dall’ente di previdenza, non sono in linea di principio ripetibili ove sussista un affidamento tutelabile in quanto oggettivamente incolpevole (Sezioni riunite 2 luglio 2012, n. 2/QM).

Inoltre, anche la rideterminazione del trattamento pensionistico pubblico, ai sensi degli articoli 204 e 205 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, è estremamente limitata quanto all’ambito di applicazione.

Le disposizioni in esame ammettono la revoca e la modifica nei soli casi espressamente previsti, che assumono rilievo eccezionale. In particolare, le modificazioni sono ammissibili nei casi in cui “a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo del riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote o l’ammontare della pensione, assegno o indennità; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi”.

Proprio la disposizione dell’articolo 206, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, che limita la possibilità di disporre il recupero delle somme indebitamente erogate, costituisce il parallelo dal punto di vista effettuale del principio del favor per la conservazione del trattamento previdenziale, per le ipotesi in cui sia disposta, in via amministrativa, una rideterminazione del medesimo (Sentenza Toscana 10 giugno 2021, n. 222)

È quindi evidente, in base alle condivisibili considerazioni esposte dall’ente previdenziale, che le disposizioni, invocate da parte del ricorrente, che limitano la possibilità di recupero per l’ente previdenziale, non possono essere applicate a fattispecie analoghe a quella del caso di specie.

In realtà, tale norma si riferisce appunto alla diversa ipotesi di rideterminazione del trattamento definitivo, mentre, nel caso di specie, il provvedimento erogato era stato ab origine indicato come provvisorio.

In astratto, quindi, non vi sarebbe alcun affidamento tutelabile.

Tuttavia, anche nel caso di trattamento provvisorio, la destinazione della pensione a esigenze primarie di vita, ai sensi proprio dell’articolo 36 menzionato dal ricorrente, ha imposto l’adozione di soluzioni esegetiche idonee a contemperare gli interessi in contrapposizione, e la questione delle modalità con cui, in concreto, tutelare l’affidamento anche nel caso di pensione provvisoria è stata scrutinata più volte dalla giurisprudenza contabile.

Da ultimo, la Corte dei conti a sezioni riunite, con sentenza 2 luglio 2012, n. 2/2012/QM, ha precisato che “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.

Nel caso di specie, assume senza dubbio rilievo primario (a entrambi gli effetti) il decorso abnorme, addirittura ultradecennale, dell’arco temporale tra le due determinazioni in tema di quantificazione del trattamento.

La ripetizione operata dall’ente previdenziale è, quindi, illegittima.

Pertanto, rigettata ogni altra difesa, il ricorso deve essere accolto, con conseguente reintegro del trattamento previdenziale illegittimamente decurtato. Sugli arretrati spettanti per effetto dell’accoglimento del ricorso competono inoltre gli accessori, ovvero gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

Quest’ultima sarà accordata per la sola parte eventualmente eccedente l’importo dei primi, calcolati con decorrenza dalla scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento degli stessi.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in considerazione della complessità della questione.

PER QUESTI MOTIVI

Il giudice delle pensioni in composizione monocratica presso la Sezione giurisdizionale regionale per la Toscana:

– respinta ogni altra contraria eccezione, pronunciando definitivamente sul ricorso, lo accoglie e, per l’effetto, condanna l’INPS alla restituzione della somma trattenuta nei confronti del ricorrente;

– condanna l’INPS al pagamento delle somme dovute a titolo di arretrati per i maggiori ratei, dal giorno della decorrenza del trattamento previdenziale. Tale importo dovrà, inoltre, essere incrementato della maggior somma tra la rivalutazione monetaria su base annua secondo gli indici ISTAT e gli interessi legali dalla data del fatto sino a quella della pubblicazione della presente sentenza e ancora degli interessi legali da quest’ultima data sino all’effettivo soddisfacimento del credito.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di euro 2.000,00 complessivi.

A tale somma deve essere aggiunto il contributo previsto per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nonché l’importo per l’Imposta sul valore aggiunto;

Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio in data 3 maggio 2022.

Il giudice

Firmato digitalmente

Andrea Luberti

Depositata in Segreteria il 09/06/2022

Il direttore della Segreteria

Firmato digitalmente

Simonetta Agostini